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La successione nella leadership

Il caso Lumina Italia Srl

di Sofia Tarana

“Tanta luce, poca lampada” questa la filosofia che ha portato al successo Lumina, azienda con background familiare tra i leader nel campo dell’illuminazione. Fondata da Tommaso Cimini negli anni ’70, nasce intorno all’iconica lampada Daphine- simbolo di design nel mondo tanto da raggiungere il Brooklyn Museum e la Judd Foundation di New York. Da questo lancio il passo è breve: presto da Sedriano la produzione passa ad Arluno e lì, nel milanese, si sviluppa. Dopo quasi 50 anni l’essenzialità è ancora il valore che guida questa impresa tutta all’italiana, che oggi, grazie alla leadership del discendente Ettore Cimini si tiene stretta il suo know how raggiungendo 5 Mln/€ di fatturato con i suoi 35 dipendenti. In questa intervista con il CEO ripercorriamo le tappe di questo caso studio e la sua successione nella leadership.

In breve, il background dell’azienda…

 

Tutto inizia a metà degli anni ’70 quando mio padre, Tommaso Cimini, adatta la sua officina per produrre la nostra iconica lampada Daphine e grazie alla quale diventiamo conosciuti in tutto il mondo. Il fatto curioso è che prima nasce la lampada e poi viene costituita la società, quando i numeri iniziano a dare un senso ad una realtà produttiva- dapprima con solo 5 persone addette per poi strutturarsi sempre di più man mano che aumentavano gli ordini. Oggi contiamo infatti 35 dipendenti con un fatturato che raggiunge i 5 milioni di euro. Purtroppo il 1997 segna un anno cruciale perché mio padre viene a mancare all’improvviso…

E quindi non c’è stato tempo per preparare il passaggio di consegne…

Quando si è verificato l’accaduto io avevo solo 25 anni e mi sono ritrovato, con mio fratello minore, a gestire la situazione. Ai tempi in azienda era presente anche il socio di mio padre che si occupava della parte amministrativo-finanziaria ed era la figura di riferimento per mio fratello (ragioniere); io invece seguivo l’ufficio tecnico e lavoravo direttamente con mio padre. Quindi, dal lato finanziario c’è stato un passaggio di consegne mentre per quanto competeva a me non c’è stato proprio il tempo. Poi nel 2007, per diversità di vedute, mio fratello è uscito dall’azienda quando io l’ho rilevata– il socio di mio padre si era invece già allontanato. Mi sono dovuto assumere tutte le responsabilità e a ciò si è aggiunta anche la crisi del 2008, per cui molte aziende hanno iniziato ad esternalizzare e snellire la produzione: io ho fatto il contrario (puntando sulla mia forza che è il prodotto) e ho internalizzato investendo nell’acquisto di macchinari da fornitori che chiudevano. Il mercato devo dire che mi ha ripagato in questa scelta.

Ettore Cimini, CEO Lumina Srl

Quali sono i tuoi piani per la creazione di nuovo valore per l’azienda?

Ho scelto di mantenere la produzione in Italia e investire internamente andando contro corrente rispetto ad altre realtà di settore e non inseguendo la guerra dei prezzi- la mia scelta è puntare sulla qualità dei prodotti. Mi tengo ben stretto il mio know how e questa attenzione al dettaglio è una caratteristica che ha attirato l’attenzione su di noi dei migliori studi di architettura internazionali, soddisfando quel tipo di servizio che le grandi aziende non riescono a fornire. Sicuramente voglio continuare a proseguire su questa linea e mantenere questa filosofia

 

Buy out: perché se ne realizzano ancora pochi? La tua opinione.

Mio padre mi diceva sempre: “meglio non avere parenti in azienda perché i problemi di casa te li porti in azienda e i problemi dell’azienda te li porti a casa”– antica saggezza (sorride, N.d.R). Infatti, quando guardo a grandi gruppi, dove all’interno ci sono decine di membri, mi chiedo come facciano a convivere- anche perché ciò comporta assegnare dei ruoli e non sempre si incontrano le aspettative di tutti. Quindi se già è difficile fare questo, figuriamoci la complessità di altre operazioni. Anche perché la domanda è: le decisioni vengono prese per il bene dell’azienda o per il bene della famiglia? 

 

Qual è il tuo modello di leadership?

Non impongo decisioni: l’umiltà è al primo posto, ascolto tutti e cerco di essere il più democratico possibile da ogni persona può arrivare un valido spunto. Utilizzo sempre l’arte del compromesso, valutando le esigenze della parte produttiva piuttosto che commerciale o amministrativa. Cerco anche di responsabilizzare il più possibile le persone, ciò non toglie che la decisione finale è sempre la mia. L’importante è sempre cercare un coinvolgimento generale in tutti i reparti, perché quando l’azienda è fatta di poche persone bisogna andare tutti dalla stessa parte altrimenti possono subentrare problemi. Il fatto di prendere decisioni condivise e valutate con altri, per l’imprenditore, crea una condizione sicuramente più tranquilla.  

 

Sei favorevole alle aggregazioni? Come ti poni sul tema delle acquisizioni?

Di aggregazioni non ho bisogno perché grazie all’ex socio di mio padre l’azienda ha sempre avuto una forte solidità economica, che ci ha permesso di muoverci con le nostre finanze e a non dover cercare qualche socio- finanziatore. Allo stesso tempo, nel nostro percorso abbiamo aumentato sempre di più il nostro know how interno che, in caso di acquisizione, verrebbe “spalmato” all’interno del gruppo in questione e, tolto l’aspetto finanziario, non avrei troppi vantaggi. Ho avuto alcune richieste di acquisizione, siamo appetibili sul mercato per la storia del nostro brand, ma non sono propenso. Preferisco portare avanti l’azienda con il cuore e non con la calcolatrice (che però tengo in tasca). 

 

In caso di mancata continuità, quali possono essere i limiti dell’imprenditore ad attuare una strategia di exit?

Ho due figli, a cui sto lasciando piena libertà di scelta per il loro futuro rendendomi disponibile ad affiancarli nella loro formazione e in qualsiasi professione decidano di investire. Se dovesse presentarsi uno scenario di discontinuità, spero di affrontare (nel caso) la situazione più avanti possibile nel tempo, sicuramente passerei il testimone ad un tipo di azienda in grado di conferire ancora valore alla mia e che dimostri una stessa etica imprenditoriale. Non so se una multinazionale sarebbe adatta a questo tipo di cura e conservazione che mi aspetterei.  

 

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