Da ben 10 generazioni la famiglia Farchioni produce nel cuore dell’Umbria, in provincia di Perugia, olio, vino, birra e farina raggiungendo le tavole di tutto il mondo. Il gruppo rappresenta un ecosistema di imprese composto da ben 16 società e raggiunge un fatturato totale di 137 Mln/€ con 232 dipendenti. Questo family business investe in continuità attraverso l’evoluzione che viene favorita da un modello decisionale condiviso, in cui l’unione fa sicuramente la forza e… impresa forte significa famiglia di successo. Di questo e molto altro abbiamo parlato con il discendente nonché Export Manager-Dir. Marketing e Ricerca e Sviluppo, Marco Farchioni.
Brevi cenni storici di un family business così longevo…
La nostra famiglia, come dicono gli americani, è “same family, same company since 1780”. La storia di questa realtà inizia nel 1780 e, al centro del nostro modo di fare impresa, c’è sempre stata la filiera: dapprima intesa come coltivare, trasformare e vendere- questi sono i tre capisaldi fondamentali che, ovviamente, oggi si sono un po’ evoluti. Tutto è partito nelle campagne dell’Umbria, in provincia di Perugia, con un piccolo mulino a pietra: non siamo mai stati nobili, ma contadini- trasformatori- commercianti che è una definizione un po’ strana perché, un tempo, o eri contadino (che coltivava il grano) o trasformatore (che produceva la farina) o commerciante (che la vendeva). Noi, invece, ci siamo sempre occupati di tutti e tre i passaggi avendo sempre e comunque un utile, aldilà dell’andamento dei mercati. La storia dell’olio è più recente: l’azienda Farchioni Olii, come la conosciamo oggi, nasce nel 1920 quando il mio bisnonno al ritorno dalla 1^ guerra mondiale (ultimo tra 8 sorelle), constatando che il capitale familiare si era dissipato tra i tanti membri, vende la sua quota ai generi. Sposa la mia bisnonna, proprietaria di vari terreni coltivati a uliveti: la famiglia Farchioni riparte e sceglie Giano dell’Umbria come sede per la propria attività costruendo il primo frantoio elettrico per la produzione e trasformazione dell’olio. Così oggi ci poniamo nel mercato mondiale come azienda leader nell’olio extra vergine di oliva: il nostro prodotto è tra i più venduti in Italia e Inghilterra; in Germania nel biologico. Nel tempo siamo cresciuti con altri business: il birrificio Mastri Birrai Umbri, la cantina Terre De La Custodia mantenendo il mulino con il core business storico di farine.
In quale stadio si trova oggi l’azienda?
La crescita non è sempre l’obbiettivo, lo scopo primario. Ti riporto un detto che è fondamentale in ogni famiglia: il fatturato è l’orgoglio, l’utile è necessario. A noi importa l’evoluzione, che è una cosa diversa. L’azienda si deve evolvere perché il mondo a sua volta si evolve, se no finisci per scomparire. Il vantaggio del nostro family business è che si evolve attraverso una condivisione: noi ci riuniamo ogni lunedì mattina per confrontarci, qualche volta anche animatamente, sul dà farsi- cioè su come è giusto procedere per andare avanti nelle scelte aziendali. Siamo arrivati fino ad adesso in questo modo perché ci sono due regole fondamentali: uno non ci sono dividendi, due ognuno della famiglia fa il manager del talento che ha. Il modello di sviluppo, quindi, è un modello manageriale: ognuno della famiglia ha un compito che deve portare avanti e per il quale deve essere responsabile e corre dei rischi- ma il rischio d’impresa è coperto dalla famiglia, cioè ci si può permettere di rischiare (condividendo) perché non ci sarà qualcuno che ti licenzia, ma un padre alle spalle che ti saprà collocare al posto giusto o consigliare. Il maggior vantaggio di un family business è proprio questo: poter intraprendere un’evoluzione e dei rischi senza temere di perdere tutto– ovviamente stando nei limiti del capitale.
Chi oggi è attivo in azienda e come vi siete suddivisi i compiti?
Le aziende sono 16 in totale, quindi in tutte queste aziende ricopriamo vari ruoli. Detto questo, il mio ruolo principale è quello di essere Export Manager- Direttore Marketing e Ricerca e Sviluppo. Mio fratello, Giampaolo Farchioni, è il Direttore Vendite Generale. Mio padre, Pompeo Farchioni, è il Presidente della Farchioni Olii Spa e da decano si occupa di tutto il reparto agricolo. Poi c’è Roberto Farchioni che è l’Amministratore Delegato che si occupa anche dell’Ufficio Acquisti- aspetto molto importante nel settore dell’olio. Mia sorella, Cecilia Farchioni, è la più giovane dei discendenti e si occupa dell’internazionalizzazione dell’impresa con sviluppo della Farchioni Olii in UK- questo perché l’ultima generazione è quella più pronta ad affrontare una globalizzazione.
Avete più business attivi: è corretto quindi parlare di diversificazione per il vostro family business?
n realtà non proprio. Molti mi fanno questa domanda: cosa c’entrano tra di loro il mondo dell’olio, del vino, della birra e della farina? La risposta è questa: in agricoltura è la rotazione agraria che permette di garantire il lavoro nei campi per 12 mesi continuativi all’anno. Quindi più che diversificazione, si tratta di un efficientamento che è parte del nostro DNA ed è necessario in ambito agricolo. Il nostro modus operandi è quello che noi definiamo “autarchia aperta” che significa cercare di produrre e dare al mondo attraverso tutto ciò che ci circonda ed è la regola di un buon governo di un’azienda contadina.
Ecco, a proposito di buon governo: avete un preciso sistema di governance?
Ognuno di noi ha delle responsabilità ben precise– siamo dotati anche della certificazione 231 che ci dice chi deve fare che cosa e in quale ambito. Quindi il modello di governance è molto ben dichiarato: non è flessibile, ma condivisibile. Questo perché se ognuno di noi ha delle responsabilità, non è detto che debba agire per forza da solo. Tutte le decisioni vengono ponderate e intraprese a livello di board per non creare confusione nel mercato e tra i dipendenti.
Per quanto riguarda gli investimenti importanti come avviene il processo decisionale?
Noi abbiamo un investimento medio di 10 milioni di euro all’anno a budget per tutte e 16 le società. Per tanti motivi che possono essere: rinnovo degli impianti, acquisto di nuovi terreni, … La nostra famiglia ha un know-how storico e la condivisione quotidiana permette che questo non muoia ma evolva- dal know-how si crea un prodotto o si crea un’impresa. Ad esempio, il know-how del fare birra ci ha permesso di creare un distillato di birra e nel 2024 avvieremo una nuova divisione nella distilleria dove ovviamente andremo a produrre direttamente. Tornando alla domanda, c’è quindi un board e in merito ad un investimento si elabora un business plan per decidere quanto investire e in quali tempistiche. È sempre importante trovare persone giuste che ti affiancano e abbiamo bisogno di molti consulenti che ci istruiscono e aiutano nello sviluppo. Studiamo e ci formiamo molto, presenziando anche a molti “tavoli” (comitati, consorzi, associazioni …) perché il confronto è fondamentale nella conoscenza.
Cosa fai per preparare la tua leadership in funzione di un futuro avvicendamento?
Ognuno di noi fa quello che può fare. Sarà compito del Presidente stabilire chi poi sarà il successore. Al momento non è ancora stata presa nessuna decisione. Ci sarà sempre qualcuno che prenderà le redini, ma tutti gli altri contribuiranno a tenerle insieme. Quindi, non c’è una sola leadership o un solo uomo ma c’è una famiglia che democraticamente propone e decide insieme- nelle indecisioni è il Presidente che decide per la famiglia, ma se la famiglia decide anche contro il parere del Presidente si fa quello che la famiglia ha scelto.
Come ti poni sul tema dell’apertura del capitale?
Aprire il capitale a terze parti è molto costoso e, quindi, finché posso evitarlo lo evito. Poi quando sarà conveniente, sarà possibile anche riparlarne. Noi abbiamo più da perdere che da guadagnare rischiando di aprire il capitale a terze parti– le banche ci fanno credito, così come gruppi. La famiglia ha un buon capitale quindi può investire propri soldi ed è un rischio relativo. Il nostro capitale è già un capitale condiviso e aperto per i membri della famiglia, quindi andare oltre al momento non ci conviene. Non nego che in molti vorrebbero che lo facessimo, ci sono state fatte anche proposte molto positive e oggi va anche di moda comprare aziende agricole (perché si pensa che il futuro sia alimentare)- noi intanto vediamo e ascoltiamo.
E sul tema delle aggregazioni?
Negli ultimi tre anni ho: aperto un Consorzio della birra artigianale italiana, una società di acquisto con all’interno 4 aziende– sono per le aggregazioni per definizione: l’unione fa sempre la forza. Per me è fondamentale e per questo, come dicevo sopra, sono presente in molti “tavoli”. L’aggregazione deve essere vista a più livelli e a più scopi. L’unico modo per salvarci da questa nuova rivoluzione industriale è aggregarsi per condividere risorse.