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Il caffè è una questione di famiglia

Il caso di Caffè Trucillo

di Valentina Tafuri

Erano gli anni ’50 quando Cesare Trucillo iniziò ad acquistare a Napoli caffè in grani che poi tostava a mano, a casa, confezionava e vendeva. Furono questi i primissimi passi dentro l’impresa, che coinvolse presto anche i fratelli di Cesare, dando vita a quello che all’epoca era conosciuto come Caffè Moka Salerno, dal nome del porto della città di Mokha da cui partiva il caffè crudo.

«Furono anni di grande lavoro e di soddisfazioni per la famiglia Trucillo. Il successo e la passione che da sempre contraddistinsero mio suocero furono riconosciuti anni dopo dalla Presidenza della Repubblica, tanto da essere insignito del riconoscimento di Cavaliere della Repubblica», ci racconta Fausta Colosimo, la “signora” Trucillo, che ha appena festeggiato con il marito Matteo, seconda generazione della Caffè Trucillo, trent’anni di sodalizio matrimoniale e professionale.

A 70 anni dalla fondazione, la salernitana Caffè Trucillo vede oggi lavorare con la stessa passione di nonno Cesare la terza generazione, con i giovani Antonia, Andrea e Cesare.

Come è avvenuto l’ingresso di Suo marito, Matteo, nella Caffè Moka Salerno?

«Mio marito è entrato nell’impresa di famiglia negli anni ’80, appena dopo aver preso il diploma, ma già da bambino ascoltava i racconti del padre, assisteva alla tostatura sentendone il buonissimo aroma, accompagnava gli zii sui furgoni per le consegne».

Quale apporto ha dato all’azienda l’ingresso del giovane Matteo?

«E’ cambiato tutto. Con il padre la torrefazione era nota prevalentemente a livello locale, a Salerno e nella sua vasta provincia.

Matteo ha cambiato il modus operandi. All’inizio è stata molto dura perché la vendita del caffè ai bar e nel settore della ristorazione era legata ad un vizio di gestione, con il produttore che finanziava l’esercente. La scelta fu di interrompere questo meccanismo e l’intuizione fu quella di vendere il caffè offrendo un servizio ed un supporto di know how ai clienti per farli crescere sia professionalmente che economicamente. Lui ha costruito la rete vendita instaurando uno stretto rapporto con agenti e concessionari, alcuni dei quali sono ancora con noi.

Fu lui a decidere di dare anche una svolta importante per legare il nome del suo caffè a quello di famiglia. E così cambiò il nome del brand in Caffè Trucillo».

Quindi quale fu il passo successivo e Lei a che punto di questa storia entra in scena?

Il mio arrivo in Azienda coincise con la volontà di Matteo di supportare la sua nuova strategia con la formazione e così inizia a studiare il caffè in tutti i suoi aspetti, dalla pianta all’estrazione di un espresso al bar.  Fu così che nel 1998 fondai l’Accademia del Caffè Trucillo, una vera e propria Scuola del Caffè che da oltre 20 anni forma i professionisti del bar, della ristorazione e dell’ospitalità. Accoglie gli appassionati del caffè, collabora con scuole, istituti alberghieri e con Associazioni di Food &Beverage al fine di diffondere la cultura del caffè di qualità. Ad oggi sono oltre 6000 i professionisti che si sono formati presso la nostra Accademia, la più grande del Centro Sud Italia.

Il passo successivo fu quello di condividere il nostro sapere e insegnare l’arte dell’espresso in paesi lontani dal nostro, desiderosi di conoscere tutto sull’espresso italiano. Allora ero l’unica a conoscere l’inglese in azienda e quindi fu quasi naturale che iniziassi ad occuparmi dei mercati esteri.

Misi il caffè in valigia ed iniziai a viaggiare da sola, incontrando tantissime persone che erano interessate ad apprendere come fare un buon caffè. L’espresso all’estero non rappresenta solo una bevanda dal gusto intenso, è molto di più: lo stile di vita italiano e il made in Italy, che resta un grande valore. Poi, quando i miei figli sono cresciuti, ho iniziato a portarli con me in questi viaggi, per avere un po’ di compagnia e stare più tempo con loro»

Fausta Colosimo

Fausta Colosimo, la seconda generazione della Caffè Trucillo

E così i vostri figli sono quasi “scivolati” nella vita dell’azienda di famiglia.

«Non è facile entrare nell’azienda dei propri genitori. Mio marito è molto rigido ed esigente ed ha sempre detto ai nostri tre figli, Antonia di 28 anni, Andrea (27) e Cesare (24), che sarebbero entrati in azienda per dare il loro contributo fattivo.

Ci vuole dedizione, impegno, talento.

Per fortuna sono molto diversi tra loro e li abbiamo lasciati liberi di seguire le loro inclinazioni e di fare gli studi che preferivano».

 

Oggi loro rappresentano la terza generazione dei Trucillo del caffè. Come state gestendo questo “passaggio del testimone”?

«Avendo attitudini diverse, hanno trovato il proprio posto in azienda senza sovrapporsi.

 Così Antonia, la maggiore, dopo gli studi in Comunicazione si è appassionata al caffè a tal punto da intraprendere molti viaggi in giro per il mondo nei paesi produttori di caffè, vivendo a stretto contatto con i caficultores.

5 anni in giro per il mondo e le sue abilità di degustatrice le sono valse il titolo di Q-Grader, certificazione che attesta la sua preparazione per quel che concerne la materia prima, le tecniche di estrazione, l’assaggio attraverso il cupping e che la qualifica a livello mondiale tanto da essere spesso chiamata in convegni e attività di formazione.

La secondogenita, Andrea, ha studiato Management e si occupa delle attività che riguardano il controllo di gestione e di implementazione dell’industria 4.0.

Cesare, laureato in International Business si occupa della parte commerciale. Ovviamente non mancano i litigi ma in quale famiglia non si discute?».

A tal proposito, come risolvete i conflitti?

«Una volta ho seguito un convegno in cui si parlava proprio di questo tema. Si diceva che la famiglia è uguaglianza, perché ogni genitore ama tutti i propri figli allo stesso modo e così anche noi. L’azienda invece è meritocrazia. Combinare questi due aspetti non è facile.

Noi abbiamo cercato di inculcare ai nostri figli l’idea che l’azienda sia un’entità a parte e che devono sostenersi e completarsi a vicenda come abbiamo fatto io e mio marito sin dall’inizio. Se io ho potuto viaggiare all’estero è stato perché mio marito era qui ad occuparsi della produzione.

Soprattutto, loro sanno di essere in azienda per un progetto, non per noi ma per loro stessi.

Non è semplice per le nuove generazioni in una realtà sempre più complicata ma sono fiduciosa che sapranno portare avanti quello che prima mio suocero e poi noi abbiamo costruito nel tempo».

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