Chi non digitalizza non compete. In un mercato che cambia rapidamente, difficilmente le strategie durano più di una generazione. Ricalcare passivamente le impronte dei predecessori, non è percorribile. Occorre, invece, innovare per favorire la crescita della propria impresa. Le responsabilità dei giovani leader passano anche dalla trasformazione digitale. Casa della Tuta, azienda familiare torinese specializzata nel retail di tute da lavoro, rappresenta un caso studio interessante per toccare il tema dell’innovazione all’interno del family business. In questa intervista, Claudio Fasciola-General Manager e discendente di terza generazione, ci spiega questo vincente cambio di paradigma.
Origini di questo family business: le tappe principali…
Nasciamo a Torino, con un banco nel cuore di Porta Palazzo- uno dei più grandi mercati all’aperto d’Europa. La zia di mia nonna, nel 1933, aveva una bancarella con un’insegna in legno con scritto “Casa della Tuta” dove vendeva indumenti da lavoro. Mia nonna, poi, raccoglie le redini dell’attività e apre il primo negozio sotto alla Galleria Umberto (dove siamo tutt’ora). La prima innovazione introdotta è stata quella di passare ad una logica di prezzi fissi- contrariamente alla contrattazione da mercato. Dopo un po’ di anni entra in azienda anche mia mamma e si ampliano passando da una vetrina a tre- sempre sotto alla Galleria. Iniziano, inoltre a fare sempre di più fornitura all’interno delle aziende e non solo un lavoro al dettaglio. Negli anni ’90 entra nell’impresa di famiglia anche mio padre ed il negozio si espande ancora: iniziamo a lavorare su tutti i settori con sempre più attenzione al brand. Io arrivo nel 2018 in azienda, dopo un percorso di studi al Politecnico per la laurea triennale e in Bocconi per quella magistrale e un’esperienza di lavoro a Londra in ambito digitale. Avevo sempre l’idea, però, di tornare in Italia per proseguire la tradizione di famiglia…
Il tuo ingresso, come discendente di terza generazione, ha portato ad un cambiamento verso l’innovazione…
Il nostro family business è cambiato molto negli ultimi 5 anni. Quando sono arrivato io non disponevamo nemmeno di un gestionale- avevamo tantissime referenze nel magazzino “contando tutto a mano”, i conti in cassa venivano fatti con la calcolatrice senza un barcode… Il primo investimento su cui ho puntato è stato quello di digitalizzare il magazzino e i processi in negozio attraverso un gestionale. Nel 2019 abbiamo lanciato il primo e-commerce, con l’idea di andare all’estero: Casa della Tuta ci sembrava un po’ commerciale e abbiamo quindi cambiato nel 2020 con il nome Latuta. Quando siamo andati online con il primo sito il team era ancora molto piccolo ed eravamo solo in due, infatti non abbiamo fatto nessun investimento di marketing ma abbiamo solo caricato i prodotti online per vedere come andava. Poi è arrivato il Covid e il sito ha avuto una frequentazione altissima perché siamo stati tra i primi ad aver proposto la mascherina in stoffa lavabile- avevamo dei laboratori che producevano per noi che avevamo a disposizione di tessuti anti-batterici. In Google siamo stati per tre mesi tra i primi 3 risultati in organico per la ricerca di mascherine lavabili. Gli ordini erano tantissimi e non riuscivamo a gestirli, quindi in pochi giorni abbiamo ingaggiato un’agenzia di sviluppo e siamo riusciti ad automatizzare tutto. Nel 2020 siamo riusciti a chiudere con lo stesso fatturato del 2018. Il sito cresce, l’azienda anche e assumiamo sempre più persone: adesso siamo 16. Nel 2022 abbiamo chiuso a 2.6 Mln/€ grazie all’online. Per il 2023 prevediamo di arrivare a 3.5 Mln/€, con un raddoppio di fatturato in tre anni e mezzo.
Rispetto a prima, oggi avete un piano di marketing ben preciso?
Sì, adesso in digital marketing abbiamo un budget di 150 mila €/anno con cui cerchiamo di far crescere tutto il nostro business online. Abbiamo una persona che si dedica a tutta la parte e-commerce, un’altra che gestisce tutta la parte di contenuti (video, foto, testi, …) per i canali social. In ambito sales ci sono cinque persone per tutta la gestione degli ordini. Tutti gli investimenti sono stati finanziati con la nostra liquidità, senza finanziatori esterni e vogliamo crescere in modo sostenibile. Per due anni, per conto di SACE abbiamo vinto un finanziamento per l’export. Oggi il nostro sito è fruibile sia in lingua inglese che spagnola, nuovo mercato al quale ci siamo approcciati da pochi mesi- lì il budget in marketing è più ridotto, ma nonostante questo stiamo avendo un buon riscontro.
In azienda siete tu, tua moglie Maria e tuo padre Marcantonio (tua madre, Manuela, ha un ruolo più istituzionale): com’ è la convivenza intergenerazionale?
Prima di entrare nel 2018, grazie alla mia esperienza in una start up londinese, mi sono presentato ai miei genitori con un piano– quasi come se fossi andato da degli investitori. Gli ho detto: «Oggi la nostra azienda è un negozio, molto conosciuto, con tutte le basi per crescere. Il mio primo passo è digitalizzare l’azienda, il secondo creare un e-commerce con un’ottica europea, poi ci possiamo espandere con più negozi sul territorio italiano». Una volta approvato questo piano, dopo vari confronti, mi hanno dato da subito carta bianca. Non ci sono mai state grosse conflittualità, l’aspetto più difficile è stato far comprendere che le cose stavano cambiando soprattutto nei processi logistici e nella gestione del cliente. Mia madre, abituata da 30 anni a lavorare in un modo molto operativo, ha avuto qualche difficoltà nell’approcciarsi alla nuova strutturazione ma ha riconosciuto che era la scelta giusta e ha preferito fare uno step indietro rimanendo in azienda solo come Presidente. Con mio padre il rapporto è sempre stato ottimo, tutt’ora lavora in negozio, gestisce il cliente che viene fisicamente e cura i rapporti con i fornitori più storici. Tutti i familiari sono stati sempre molto aperti al cambiamento.
A livello di governance vi siete già strutturati?
Siamo ancora piccoli e poco strutturati, ma vogliamo sicuramente crescere e puntiamo a diventare una grande azienda e non escludiamo l’ipotesi di aprirci a capitali esterni. La cosa bella è che facciamo il nostro consiglio di amministrazione annuale– solitamente riunendoci nella casa di montagna di famiglia- dove presento i risultati dell’anno precedente e gli obbiettivi per l’anno che verrà e tutto viene condiviso e deciso insieme.
Hai toccato tu, prima, il tema dell’apertura a capitali esterni: mi spieghi meglio?
Per crescere e per farlo in modo più veloce naturalmente non puoi basarti solo sul tuo cash-flow. Con l’ambizione di aprire più punti vendita e potenziare anche l’e-commerce, avremo bisogno di immettere altro capitale nell’azienda- come lo faremo ancora non lo sappiamo per certo. Un’opzione potrebbe essere quella di aprirci a capitali esterni, forse la scelta a più alto valore aggiunto per noi sarebbe trovare una figura di alto profilo con un’elevata expertise in ambito retail- intendo una figura manageriale da inserire nel board, aprendo la nostra realtà familiare. Quindi più che un capitale economico, abbiamo necessità di un capitale umano e un altro know how per intraprendere questa accelerazione.
In uno scenario lontano, se non ci fosse continuità, saresti aperto ad una strategia di exit?
Io sono assolutamente contro i tabù delle aziende di famiglia, come potrebbe essere questa questione. Sono papà da poco, quindi la discontinuità al momento non possiamo prevederla ma le cose possono cambiare e sono assolutamente aperto per considerare la scelta migliore per la famiglia e per conservare anche quanto è stato fatto. Per ora, però, abbiamo solo grandi piani di crescita attraverso l’innovazione.