Tre “S” che rappresentano la filosofia della Famiglia Segafredo di Bologna: Scienza, Sapienza e Specializzazione. Forte di una lunga esperienza nel mondo della torrefazione, oggi la Essse Caffè con un fatturato di 39 Mln/ € e 74 dipendenti (a cui si aggiunge una forza vendite di un centinaio di persone) è riconosciuta come leader di mercato e brand di riferimento nel canale Ho.Re.Ca. Crescita costante, governance virtuosa e apertura verso l’esterno ne fanno un caso studio esemplare per le pagine di Family Biz. Oggi ad affiancare l’attuale Presidente Francesco Segafredo c’è anche la seconda generazione composta da Agata Segafredo (Responsabile Acquisti), Pietro Buscaroli (Export Director), Riccardo Auteri (Responsabile Finanza e Controllo), Ruggero Auteri (Assistente Direttore Commerciale Ho.Re.Ca). Qui l’intervista con i quattro giovani discendenti.
Ruggero, in breve per i lettori, facciamo chiarezza sulla vostra linea di discendenza.
RU. Essse Caffè viene fondata nel 1979 da Francesco, Chiara e Cristina Segafredo forti del know how familiare con, fin da subito, una volontà ben precisa: quella di tornare un po’ alle origini e di far leva sulle chiavi di successo della precedente esperienza aziendale puntando all’eccellenza nel settore Ho.Re.Ca e ponendosi al fianco del cliente come partner, ancor prima che come fornitore. Oggi, in azienda oltre a Francesco che è operativo nel ruolo di attuale Presidente, come seconda generazione sono presenti Agata (la figlia nel reparto acquisti), Pietro (figlio di Chiara nel reparto export) ed infine Riccardo ed io (figli di Cristina e rispettivamente nel reparto finanza e commerciale).
Agata, data la vostra longevità, come si deve rendere virtuosa la convivenza generazionale per la continuità?
Quello che ci caratterizza, ed è anche il consiglio che volentieri condividiamo, è la chiarezza nei ruoli: ognuno sa che cosa gli compete, ha ben presente il suo posto e conosce anche i propri limiti. In poche parole: cosa fare e cosa non fare. Quindi, in un percorso professionale come personale, se c’è trasparenza nelle relazioni si va avanti tranquillamente. Il problema subentra quando non c’è una impostazione di questo tipo.
Quindi, siete dotati di precisi accordi/ patti di famiglia?
A. Patti/ accordi non ne abbiamo ma proprio perché c’è chiarezza tra di noi. Svolgiamo riunioni periodiche (di allineamento) con cadenza mensile: tutta la famiglia- operativi e non operativi- si riunisce aldilà delle distanze dovute ai nostri viaggi frequenti. Anche in occasione di particolari date e ricorrenze siamo soliti confrontarci tra di noi in queste riunioni di famiglia, prima di fare riunioni più ufficiali. Tutti gli operativi, cioè mio padre e noi 4, siamo tutti nel CDA. Abbiamo anche stabilito delle riunioni solo familiari ed operativi, dove ci facciamo un aggiornamento e rappresentano dei momenti importanti ed interessanti. Per quanto riguarda i familiari, c’è anche chi non è operativo in azienda ma è parte del CDA. C’è molta fiducia reciproca e condivisione pertanto non abbiamo bisogno di patti.
RU. Per aggiungere, è chiaro che in queste riunioni, se sono coinvolti gli esterni, concordiamo le decisioni più strategiche. Tra noi interni affrontiamo anche questioni magari meno rilevanti, ma che comunque impattano principalmente sui nostri settori di riferimento. Ad esempio, con Pietro possiamo discutere insieme a mio zio, Riccardo, Agata ed io ciò che riguarda le scelte sull’export piuttosto che con me sull’Ho.Re.Ca Italia, ecc…
RI. Credo che qui il concetto principale è, appunto, quello della condivisione: c’è molta unione familiare. Questa è stata fondamentale soprattutto in periodi complessi, come quelli degli ultimi anni interessati dal Covid, perché siamo un’azienda focalizzata sul mercato dell’out of home e la possibilità di decidere insieme ha fatto la differenza. Magari non abbiamo ancora degli accordi scritti classici, dei patti para-sociali, però abbiamo una serie di prassi molto molto utili per tenere un certo tipo di rapporti tra operativi e non operativi.
Pietro, come giovane generazione, che cosa state mettendo in campo in ambito innovazione/trasformazione digitale?
Quando parliamo di innovazione digitale io ho in mente l’ambito social. Ovviamente da giovani discendenti siamo molto sensibili a questi temi sia per l’Italia che per l’estero- io seguo soprattutto questo fronte e nei mercati asiatici ci sono determinati investimenti importanti da fare in questi campi. Stiamo concentrando le nostre forze per essere presenti su tutte le piattaforme social e comunicare in modo appropriato e, con le giuste strategie, tutte le nostre categorie di prodotti. Quest’anno, dopo 5 anni, siamo riusciti ad aprire il nostro flagship store su Tmall (gruppo Alibaba), che è la piattaforma digitale locale in Cina. Siamo presenti anche su Alibaba International, piattaforma B2B internazionale accessibile da tutto il mondo per la presentazione di prodotti.
RI. Siamo un’azienda che ha come core business l’Ho.Re.Ca (quindi hotel, ristoranti-bar e catering). Si tratta di un mercato meno digitalizzato, quindi è una sfida sicuramente interessante quella di portare l’innovazione verso clienti più tradizionali. La nostra azienda deve essere quindi brava a sviluppare un prodotto e portarlo ad un canale che di per sé si muoverebbe su logiche più classiche. Le nuove opportunità digitali hanno permesso all’azienda di spostarsi anche verso canali che prima non toccava (retail e B2C) attraverso l’e-commerce che ha permesso di arrivare al consumatore finale- prima avevamo bisogno di più intermediari per farlo.
RU. Come diceva Riccardo, essendo l’Ho.Re.Ca un canale ancora molto tradizionale, difficilmente si riesce a trasformarlo digitalmente. Per cui, la relazione con il cliente finale la gestiamo ancora in maniera umana. Invece a livello di innovazione, possiamo fare molto per tutti i processi interni aziendali, cioè in termini di supporto al cliente- stiamo facendo un test con le macchine interconnesse (con i clienti connessi in rete controlliamo tutti i parametri di erogazione). Quindi internamente riusciamo a sfruttare questa digitalizzazione; esternamente dobbiamo farlo con molta delicatezza.
Siete una realtà da sempre orientata alla crescita: quali sono i piani di sviluppo e gestione del brand?
P. Negli ultimi anni abbiamo investito molto nell’estero, sia come persone che come team, ma anche come prodotto perché per l’estero bisogna essere preparati ad aggredire il mercato con proposte all’avanguardia. Stiamo lanciando anche una macchina a capsule che permette la preparazione anche di bevande a base latte, con latte fresco-fin ad ora mai entrata nel mercato. Abbiamo lanciato anche una miscela sostenibile: per tot miscele vendute, viene piantato anche un albero. Stiamo lavorando anche ad un progetto di vera e reale combustibilità delle capsule. Siamo presenti, inoltre, in tutte le fiere più importanti di settore (a livello internazionale) dove ci presentiamo con stand di una certa importanza.
A. Abbiamo anche un progetto di sostenibilità che stiamo mettendo a punto- tema che, oggi, è parte di tutte le aziende e sul quale anche noi ci stiamo adeguando.
RU. L’idea è quella di avere un vero e proprio comitato che, per tutte le decisioni strategiche dell’azienda, supporti anche nella direzione di scelte in ottica di sostenibilità quindi di impatto su ambiente e persone che quel prodotto avrà.
Riccardo, credi che un’azienda familiare possa “restare in famiglia” pur aprendosi ad altro come management esterno, acquisizioni, aggregazioni…?
RI: Questa domanda riassume quelle che sono le sfide più importanti per le aziende familiari. Essere un’azienda familiare ha chiaramente dei pro (velocità nei processi decisionali, capacità di adattamento, visione di lungo termine perché c’è un attaccamento maggiore all’azienda). Un family business deve avere la capacità di sfruttare questi punti di forza, ma anche la consapevolezza delle proprie debolezze: crescita più contenuta, dimensioni più ridotte, capitale un po’ più chiuso verso certe operazioni. La bravura risiede poi nel trasformare questi aspetti in punti di miglioramento. Per sopravvivere nel lungo termine un’impresa familiare deve basarsi e garantire una strategia di successo, che vuol dire saper evolvere, saper cogliere le opportunità di mercato in un dato momento. Le acquisizioni sono una leva importante per la crescita ed è molto probabile che ad un certo punto questa diventi una leva da implementare, così come la possibilità di accogliere un management esterno. Ciò che conta è saper pianificare e trovarsi preparati con i giusti strumenti per poter intervenire al momento più opportuno.
La vostra è una realtà multigenerazionale: perché in Italia i buy-out sono così pochi?
RI. I motivi per cui i family buy-out sono pochi, sono anche un po’ da ricercare nelle ragioni per cui le aziende familiari sono un po’ avverse alle operazioni straordinarie in generale- come dicevamo sopra. C’è sicuramente di fondo un tema di impostazione familiare: la chiusura del capitale data dalla sovrapposizione tra il concetto di famiglia e azienda. L’apertura del capitale ad esterni e l’uscita di un familiare può essere anche un po’ vista, non dico come l’uscita dalla famiglia, però un venir meno di un rapporto frutto di un legame, di una tradizione, delle precedenti generazioni. Quindi si crea una sorta di resistenza. Dall’altra parte credo che sia anche un tema di struttura: tendenzialmente le aziende familiare sono anche quelle meno indebitate, avverse agli strumenti finanziari. In più in molti casi l’azienda familiare è anche rappresentativa di una quota importante del patrimonio di famiglia quindi senza il supporto delle banche e di strumenti finanziari un buy- out non si riesce a fare.
Per molte aziende discontinuità ed exit sono temi tabù: ma quanto è importante prepararsi a questi possibili scenari per la buona conservazione dell’azienda?
RU. Partirei proprio del concetto di “buona conservazione” e aggiungerei “buono sviluppo”- l’uno non deve escludere l’altro. Questi sono presupposti base per la sostenibilità di un’impresa nel lungo periodo. Da qui, quello che viene identificato come il metodo migliore per la continuità (non solo economica ma anche a favore di tutti gli stakeholders) va valutato in termini oggettivi e non solo per l’attaccamento affettivo all’azienda. Sarei quindi contrario ad alcuni punti fermi che spesso ci si mette, ad esempio “sono contrario ad operazioni di M&A [Manager and Acquisition, N.d.R], il mio sviluppo non avverrà attraverso questa via”. Per carità non deve essere l’unica leva, ma se il mercato in un dato momento si dimostra interessante per questa possibilità perché non coglierla. Per rendere tutto in chiave un po’ più commerciale, l’unico punto su cui noi non accettiamo vie di mezzo e siamo irremovibili è il tema della qualità del caffè [sorridono tutti, N.d.R.].