«Quando si vuole fare bene una cosa, bisogna concentrarsi solo su quella»
Gaia Baiocchi, giovane titolare e manager di Eli Prosciutti, riassume così la mission dell’azienda familiare, che produce esclusivamente due specialità di prosciutto crudo Dop, il prosciutto di Parma e il prosciutto San Daniele, nei due stabilimenti di Traversetolo e di San Daniele del Friuli. Eli Prosciutti, che conta in totale 18 dipendenti e un fatturato di 9 milioni di euro nel 2021, è un’impresa al femminile: porta il nome della bisnonna Elisabetta ed è gestita da Gaia, 26 anni, e dalla madre Elena Dalla Bona, che l’ha fondata nel 2004, dopo una lunga esperienza nella lavorazione del prosciutto di Parma.
«Negli anni ’80-’90 mia mamma lavorava nel caseificio di famiglia ̶ racconta Gaia Baiocchi ̶ e reinvestiva il capitale in prosciutti: li comprava freschi e li faceva stagionare per un anno, aumentandone il valore. Nel 2000 i prosciutti in magazzino da 10 mila erano diventati 100 mila e questo ha permesso di aprire l’azienda nel 2004, con persone esperte nella scelta delle materie prime e nella loro lavorazione». Nasce così la produzione di prosciutto di Parma, al quale si aggiunge qualche anno dopo il prosciutto San Daniele: nel 2007, infatti, la famiglia rileva la Fogolar, azienda artigianale di San Daniele del Friuli. Entrambi i prodotti sono a Denominazione d’Origine Protetta (Dop); in Italia l’azienda ha come clienti negozi al dettaglio, supermercati familiari, ristorazione, mentre il mercato estero è in fase di sviluppo. «Quando sono entrata in azienda, nel 2020, avrei dovuto occuparmi di commercio estero, ma al momento non c’era la possibilità di farlo a causa del Covid e mi sono rivolta alla produzione», prosegue Gaia Baiocchi.
È entrata in azienda molto giovane: ha sempre pensato di lavorare nell’impresa di famiglia?
Il mio ingresso in azienda era già scritto da quando avevo 15 anni, ma mia mamma mi ha lasciato lo spazio per decidere quando farlo. Sono stata cinque anni a Milano per studio (ho una laurea di esperto linguistico d’impresa e un master in comunicazione aziendale) e ho lavorato in una startup di tutt’altro settore che aveva 50 dipendenti e un’età media di 24 anni, una bellissima esperienza che mi ha permesso di vedere come si gestisce un’azienda strutturata e in rapida crescita. Nel giugno 2020 avevo già in programma di tornare a Parma e quando sono entrata in azienda ho iniziato affiancando tutti i reparti e cercando di imparare il più possibile a fare tutto. Dopo due anni, il nostro responsabile di produzione è andato in pensione e al suo posto siamo subentrati il suo braccio destro e io. Ora mi occupo della produzione, del commerciale e del marketing.
Lei condivide la guida dell’azienda con sua madre: com’è la convivenza generazionale?
Pensavo che sarebbe stato più problematico: abbiamo caratteri diversi e nel periodo dei miei studi abbiamo litigato per 5 anni. Appena entrata in azienda, invece, mi ha dato la possibilità di fare tutto, condividendo da subito scelte importanti e affidandomi delle responsabilità. Io ho studiato economia, ma la mia esperienza di azienda era quasi zero: mia madre ha riconosciuto che ciò che avevo studiato sarebbe stato utile per l’azienda e mi ha dato lo spazio per metterlo in pratica. Gli scontri ci sono, anche giornalieri, ma sono scontri produttivi. Entrambe lavoriamo seguendo due principi: umiltà e tenacia.
Qual è stata la sfida principale che ha affrontato al suo ingresso in azienda?
La sfida più difficile è stata farmi accettare e rispettare come co-titolare: essere giovane e donna può essere penalizzante nel nostro settore, che è ancora molto tradizionalista. Con l’aiuto di mia mamma e con molta pazienza e dedizione sto riuscendo ad affermare la mia presenza: le persone in azienda avevano bisogno di vedere l’impegno, di sentire la mia voglia di imparare e di dimostrare di essere all’altezza. Non c’è molto spazio per commettere errori, non c’è molto supporto, ma sono convinta che l’energia e l’impegno che ci sto mettendo mi porteranno soddisfazioni.
Che cosa è riuscita a cambiare finora nella vostra azienda?
Il mio arrivo è stato già una rivoluzione, ma ne ho portate altre più piccole: dal punto di vista produttivo ho cercato di riorganizzare alcuni aspetti del lavoro, parlando con gli operatori, e teniamo riunioni mensili nelle quali ogni responsabile presenta l’andamento del mese precedente a tutti i dipendenti. Desidero che tutti siano informati, perché responsabilizzare le persone aiuta a farle sentire parte dell’azienda. Ho voluto anche migliorare la comunicazione del nostro brand: un grande passo per noi è stato quello di rivolgerci a un’agenzia di Parma che ci sta aiutando molto a costruire la nostra immagine aziendale e a comunicare con i nostri clienti attraverso il sito web, che stiamo rifacendo, e i canali social.
Come state affrontando le difficoltà che hanno colpito le PMI negli ultimi anni e quali sono i vostri progetti di sviluppo?
Gli ultimi due anni sono stati difficili per il nostro settore: l’anno scorso sono stati prodotti 1 milione di prosciutti in meno del previsto. Quest’anno manca ancora la domanda e non ci sono ancora i consumi attesi, il mercato vive ancora una grande incertezza. Il nostro obiettivo per il 2022 e per il 2023 è di riportare la produzione ai quantitativi pre-Covid, ma questo è difficile anche per la scarsità di materia prima: la filiera del prosciutto Dop ha risentito del fatto che l’anno scorso, per problemi economici, sono stati allevati meno maiali e quindi ora ci sono meno cosce disponibili per produrre i prosciutti. Per questo motivo, uno dei nostri obiettivi a lungo termine è quello di avere un nostro allevamento, per crescere suini con alimenti scelti da noi: l’avevamo già ai tempi del nonno, ma poi è stato chiuso perché non più sostenibile economicamente. La struttura c’è ancora, ma è un progetto che richiederà almeno 5-7 anni per poter essere realizzato. Un altro enorme problema riguarda i costi energetici che sono quadruplicati. Il nostro obiettivo di sostenibilità sta diventando una vera e propria necessità per la sopravvivenza. Pensiamo di dotarci a breve di impianti fotovoltaici per ridurre i consumi di energia e trovare soluzioni per ridurre lo spreco di acqua. Ciò nonostante, stiamo crescendo come struttura e abbiamo appena assunto una persona per l’area commerciale. Per noi è diventato imperativo sviluppare il mercato estero, perché quello nazionale è già saturo e impoverito dal Covid19 e dalla guerra in Ucraina.
Da giovane manager di un’azienda familiare, come vede il futuro della vostra impresa?
Nel nostro settore c’è un forte divario tra le grandi industrie e le piccole e medie imprese. Vorrei che le aziende medio-piccole che producono prosciutto Dop, come la nostra, fossero più conosciute e per questo bisogna lavorare sul nome del prodotto e dell’azienda. Il Prosciutto di Parma, come lo facciamo noi, non è un prodotto di prima necessità: ha un costo di produzione elevato e deve essere riconosciuto come prodotto di altissima qualità. C’è una grande differenza di prodotto e di prezzo tra chi produce in modo industriale e chi lo fa in modo artigianale, ma non c’è sufficiente cultura di prodotto e perciò questa differenza non viene percepita. Sarebbe importante collaborare di più tra produttori della nostra stessa categoria di artigiani e comunicare unitamente le differenze che ci sono nella qualità dei nostri prodotti, perché, fondamentalmente, sono ciò che ci ha permesso di sopravvivere anche in anni difficili.