Nata a Langhirano, nel Parmense, nel 1960 dall’intuizione di cinque fratelli e con l’aiuto delle quattro sorelle, l’azienda Fratelli Galloni, che produce Prosciutto di Parma, ha attraversato decenni di trasformazioni economiche e di mercato restando sempre saldamente nelle mani della famiglia. Oggi è la terza generazione a guidarla con il supporto della seconda ancora ben presente. L’obiettivo è continuare a coniugare tradizione e innovazione. Insieme a Luca Galloni, responsabile marketing dell’azienda, abbiamo approfondito come la dimensione familiare abbia influito sulla governance, sulla capacità di affrontare le crisi e sulla visione del futuro.
Luca, può riassumere le principali fasi della crescita di Fratelli Galloni? Qual è stato il ruolo delle diverse generazioni della vostra famiglia?
La nostra storia inizia nel 1960, quando i cinque fratelli maschi della famiglia, già operai e capi reparto in altre aziende locali, decisero di mettersi in proprio. Le loro sorelle, più istruite, si occuparono della parte amministrativa. Fu un esempio perfetto di complementarità: gli uomini dedicati alla produzione e le donne al coordinamento gestionale. Mio nonno Primo fu il collante di questa prima generazione, quella che avviò il primo prosciuttificio a Langhirano. Negli anni Settanta nacque un secondo stabilimento, più moderno, che permise l’ottenimento delle certificazioni necessarie per l’export. La svolta arrivò alla fine degli anni Ottanta, quando mio padre Carlo, giovane e innovativo, ebbe l’intuizione di puntare sugli Stati Uniti. Nonostante le resistenze della prima generazione, decise di esportare il nostro prosciutto tradizionale, dolce e morbido. Fu un successo: nel 1989 il nostro prodotto fu il primo prosciutto di Parma a entrare negli USA. Da allora la presenza internazionale è cresciuta fino a raggiungere oltre 36 Paesi. Negli anni Novanta entrò in azienda mia zia Mirella, che portò un forte impulso sui mercati esteri. Nei primi Duemila iniziò l’ingresso della terza generazione: mio fratello Federico, seguito da Francesco e infine da me. Nel 2005, mio padre e Mirella rilevarono l’intera azienda dai propri cugini, aprendo una fase nuova e più snella, che negli ultimi vent’anni ha visto il fatturato quasi triplicare.
I ruoli chiave nella gestione dell’azienda sono affidati a membri della famiglia. Come vi siete divisi i compiti e secondo quale logica?
La divisione dei ruoli è stata naturale: ognuno di noi ha seguito le proprie inclinazioni. Federico è oggi direttore commerciale e si occupa anche degli acquisti delle materie prime. Francesco ha scelto la produzione e le operations, dalla logistica alla gestione dei poli produttivi. Io, con un percorso formativo in marketing ed economia, ho preso in carico l’area marketing e la parte finanziaria. Mio padre Carlo resta presidente e presidia la qualità del prodotto, affiancato da un team dedicato. Mirella continua a seguire l’export extra-UE, un settore in cui è sempre stata un punto di riferimento. Tutto è stato formalizzato in deleghe precise: questa chiarezza evita sovrapposizioni e possibili tensioni. A livello strategico, ci confrontiamo regolarmente in comitati mensili e in consiglio di amministrazione, mantenendo un equilibrio tra autonomia individuale e visione comune.
Nel 2016 un grosso incendio ha distrutto gran parte del vostro stabilimento. Come avete affrontato la situazione? L’essere una famiglia è stato di aiuto?
Il 14 luglio 2016 è una data che non dimenticheremo mai: in mezz’ora andarono distrutti 10 mila metri quadrati di impianto e 85 mila prosciutti, per un danno stimato di 20 milioni di euro. Era un momento in cui potevamo scegliere se ridimensionare l’azienda o rilanciare. Mio padre, però, non ebbe dubbi: già il pomeriggio stesso, davanti ai dipendenti riuniti, promise che nessuno avrebbe perso il lavoro e che avremmo ricostruito uno stabilimento più grande e moderno. La famiglia fu determinante: la fiducia reciproca ci permise di reagire subito, senza esitazioni. Avendo un magazzino di prosciutti stagionati intatto, riuscimmo a garantire continuità ai clienti. Colleghi e concorrenti ci aiutarono concretamente: c’è chi produsse per noi e chi ci supportò nello spostamento delle scorte. In meno di un anno lo stabilimento era ricostruito. L’incendio, da tragedia, divenne un acceleratore di idee e innovazione: introducemmo nuove tecnologie e digitalizzazione, migliorando la competitività.
Come prevenite eventuali conflitti tra i membri della famiglia? Avete accordi scritti tra voi?
Non abbiamo patti scritti, ma regole condivise che funzionano. La prima riguarda la governance: le deleghe sono chiare e rispettate. La seconda è che i partner non lavorano in azienda, per evitare dinamiche che potrebbero complicare i rapporti. Le discussioni non mancano, anche animate, ma restano sempre sul piano professionale e si chiudono senza strascichi personali. La forza del nostro modello è che, una volta presa una decisione, tutti la sosteniamo con coerenza.
Suo padre e sua zia guidano l’azienda. Come stanno preparando i futuri leader?
Hanno saputo coinvolgerci fin da ragazzi. Partecipavamo alle fiere internazionali già da adolescenti, lavoravamo d’estate nei reparti produttivi e venivamo ascoltati nelle decisioni importanti. Questo ci ha permesso di maturare un forte senso di appartenenza. Ciascuno di noi ha seguito percorsi diversi: Federico è entrato presto in azienda, Francesco ha avuto un’esperienza come imprenditore agricolo, io ho studiato e lavorato all’estero. Queste strade diverse ci hanno arricchito, portando competenze complementari. Negli ultimi anni c’è stato anche il passaggio delle quote societarie, che oggi sono in mano alla terza generazione, con Carlo e Mirella nel ruolo di supervisori. È stato un processo graduale, basato sulla fiducia: ci hanno dato responsabilità reali e ci hanno insegnato che la leadership si conquista con il merito.
Come vede l’azienda nei prossimi 5 anni?
L’obiettivo è crescere continuando a puntare sulla qualità e sull’innovazione. Stiamo investendo in progetti di ricerca con università e centri internazionali per comprendere scientificamente processi che prima erano affidati all’esperienza empirica. Vogliamo che il marchio Galloni diventi sempre più riconoscibile anche per il consumatore finale, non solo per gli operatori. In parallelo stiamo rafforzando il management con figure giovani e competenti, non solo familiari, perché un’azienda che cresce ha bisogno di professionalità diversificate. Il contesto rimane difficile, tra crisi energetica, guerre e inflazione, ma abbiamo imparato a lavorare in situazioni complesse. Ci siamo dati un piano di crescita del fatturato del 30% nei prossimi anni, sempre con la flessibilità necessaria ad affrontare imprevisti.
Avete mai pensato di aprire il capitale a un socio esterno alla famiglia?
Le opportunità non sono mancate: più volte siamo stati avvicinati da fondi o da altre aziende, anche in momenti critici come dopo l’incendio. Ma abbiamo sempre rifiutato: per noi la forza sta nell’essere un’impresa familiare, indipendente e con una forte identità. Siamo ancora giovani e motivati, e ci piace pensare che la strada la dobbiamo tracciare noi. In futuro, chissà, potrebbero nascere partnership industriali, ma oggi il nostro obiettivo è proseguire con le nostre forze, mantenendo l’anima familiare che ha reso possibile tutto questo percorso.