La pandemia ha avuto un impatto drammatico e straordinario sul tessuto imprenditoriale: sono tantissime le imprese, e soprattutto le PMI, che sono entrate in una situazione di forte crisi, addirittura di insolvenza; e sono tante quelle che probabilmente vi entreranno nei prossimi mesi.
La scadenza delle moratorie sui finanziamenti obbligherà le imprese a dover riscadenziare con le banche i propri debiti, e questo sarà impossibile in assenza di piani di risanamento credibili e sostenibili. Chi non ci riuscirà dovrà fare i conti con una parola terribile: il default. Concetto che tra l’altro è stato ridefinito dal nuovo Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, rendendo sempre più complesso risolvere situazioni di questo tipo con strumenti stragiudiziali.
Ma cosa intendiamo per insolvenza?
Con il termine insolvenza si intende: «La situazione in cui un soggetto economico, solitamente un’impresa, non è in grado di onorare regolarmente, con mezzi normali di pagamento, le obbligazioni assunte alle scadenze pattuite».
Ci troviamo quindi in situazioni molto avanzate della crisi di un’impresa, in cui la sopravvivenza della stessa è a forte rischio, gli equilibri paiono deteriorati in modo irreversibile e lo spettro del fallimento aleggia sulla testa dell’imprenditore.
I sintomi delle situazioni di insolvenza sono piuttosto evidenti e si manifestano in:
- aggravamento delle perdite economiche;
- deterioramento della redditività;
- deterioramento patrimoniale;
- personale in esubero e da riconfigurare;
- mancanza di Visione e Missione.
È tanto facile riconoscere i sintomi dell’insolvenza, quanto complesso trovare soluzioni per uscirne. E infatti il nemico principale, in questi casi, è il “panico”.
Ho visto purtroppo tanti imprenditori in situazioni del genere farsi condizionare dal terrore di non poter trovare una via d’uscita o di non avere il tempo, gli strumenti o le capacità per seguirla.
A questi imprenditori dico sempre due cose. La prima è che la crisi non arriva mai all’improvviso: se la loro impresa è giunta a uno stadio di difficoltà così avanzato è perché non sono stati in grado di riconoscerne i segnali, o non hanno voluto affrontare, quando era il momento, un processo di trasformazione strategica. La seconda è che, nonostante tutto, per quanto grave sia ormai la situazione in cui versa l’impresa, c’è sempre una via di uscita.
È chiaro che in queste situazioni la trasformazione aziendale è profonda e radicale. L’azienda che uscirà da un risanamento sarà molto diversa da quella che vi è entrata, sotto tanti aspetti: la proprietà, la governance, il modello di business, gli assetti organizzativi, gli equilibri economici e finanziari. Ma quello che più conta è che, se il risanamento viene gestito in modo adeguato, l’azienda che ne esce sarà ancora in piedi. Pertanto ci sarà ancora valore.
Si tratta di processi complessi, che spesso richiedono tempo, strumenti e competenze specifici e un approccio straordinario alla gestione aziendale. Ma soprattutto richiedono che il leader sconfigga il panico che comprensibilmente può ottenebrarlo con una nuova parola magica: la “lucidità”.
Ti rivelo un segreto: non esistono imprese in crisi ma soltanto organizzazioni da trasformare e rilanciare.
E il caso che ti racconto adesso ne è la prova.
Il presente articolo fa parte di una serie dedicata alle diverse tipologie di trasformazione da attivare all’interno delle Imprese Famigliari in funzione del loro stadio di difficoltà: in questi articoli sviluppiamo i casi di stagnazione, prima difficoltà e declino. Nel caso che trovi di seguito invece approfondiremo lo stadio di insolvenza.
Il caso Biscotti SpA
Biscotti SpA fu fondata negli anni ’80 da due soci e iniziò subito a operare nel settore della pasticceria industriale.
Fino ai primi anni duemila l’azienda conobbe una fase di forte crescita dimensionale, trainata dall’ingresso dei propri prodotti a marchio nella Grande Distribuzione Organizzata. La crescita dei volumi però richiedeva importanti investimenti industriali, che vennero sostenuti sia all’interno dello stabilimento principale, sia attraverso l’acquisizione di uno stabilimento vicino di proprietà di un’azienda concorrente in liquidazione. Questi investimenti furono finanziati interamente ricorrendo all’indebitamento bancario di medio/lungo periodo, ma all’epoca il fatturato e le marginalità dell’azienda sembravano garantirne la sostenibilità.
Prima della crisi, infatti, Biscotti SpA aveva raggiunto un volume d’affari superiore ai 40 mln €, con una costante generazione di utili e flussi di cassa, e un Patrimonio Netto importante.
Però, anche a fronte di questa sicurezza, non era stato fatto nessun Piano di medio periodo, per capire quanti flussi di cassa avrebbe dovuto generare l’azienda per poter sostenere il rimborso dei debiti contratti negli anni successivi. E soprattutto per capire quali azioni correttive avrebbe dovuto mettere in atto nel caso contrario.
Poi successe la tempesta perfetta, che mise in luce tutte le carenze e gli errori di leggerezza fatti. La recessione globale a inizio 2010 colpì il mercato di riferimento dell’azienda, che perse in un paio d’anni il 30% del proprio fatturato. I due soci litigarono e uno uscì, con forti ricadute sull’assetto proprietario e manageriale. Nel frattempo l’azienda si era strutturata eccessivamente, caricandosi di costi fissi non più sostenibili. I finanziamenti accesi per coprire gli investimenti terminavano il periodo di pre-ammortamento e le banche iniziavano quindi a battere cassa.
Biscotti SpA a fine 2013 entrò ufficialmente in uno stato di crisi.
La prima fase del Piano di Risanamento (2014-2015): la riorganizzazione industriale e finanziaria
La proprietà, nel frattempo passata alla seconda generazione dell’unico socio rimasto, cercò di far fronte tempestivamente alla grave emergenza mettendo in piedi un Piano di Risanamento articolato sulle seguenti linee guida:
- forte riduzione dell’organico, che da 250 unità passò a meno di 100 nel giro di 18 mesi con un piano di licenziamenti collettivi;
- forte riduzione di tutti gli altri costi fissi e azzeramento degli investimenti, sia industriali che commerciali;
- contenimento del capitale circolante, attraverso interventi straordinari sul magazzino (smobilizzo degli stock attraverso azioni promozionali), sui crediti commerciali (recupero dello scaduto e riduzione tempi medi di incasso) e sui debiti commerciali (piani di rientro con i fornitori principali);
- ricapitalizzazione della società da parte della proprietà attuale;
- moratoria su tutti i finanziamenti bancari in essere;
- ottimizzazione dei flussi di cassa attraverso l’implementazione di sistemi e processi per la programmazione e il controllo finanziario di breve/brevissimo termine.
Queste azioni consentirono alla società di rallentare l’emorragia economica e finanziaria e di evitare temporaneamente il default, che invece interessò diverse aziende del settore.
A fine 2015 tuttavia, l’azienda non aveva ancora recuperato gli equilibri e la scadenza del primo giro di moratoria con le banche imponeva il concepimento di un nuovo Piano di Risanamento.
La seconda fase del Piano di Risanamento (2016-2018): la riconfigurazione del modello di business
Biscotti SpA nel primo biennio di gestione della crisi si era ridimensionata su un livello di fatturato pari a 20 mln €, ovvero la metà di quanto era arrivata a fatturare negli anni precedenti. Anche l’organico si era più che dimezzato, con un piano esuberi che aveva comportato inevitabili e pesanti ricadute organizzative, finanziarie e reputazionali. Questo aveva sicuramente contribuito a recuperare in parte gli equilibri economici, ma non era ancora sufficiente per tornare a generare utili né flussi di cassa. Gli ammortamenti sugli investimenti fatti in passato e le rate dei mutui che si sarebbe dovuto iniziare a rimborsare non erano ancora sostenibili.
Urgeva un secondo progetto di risanamento, ancora più drastico del primo.
La proprietà decise quindi di ridisegnare pesantemente il modello di business dell’azienda, avviando un processo che l’avrebbe portata nel giro di qualche anno a diventare un terzista.
Venne infatti gradualmente abbandonato il prodotto a marchio, che richiedeva troppi investimenti commerciali e di marketing, e soprattutto che richiedeva un mercato che l’azienda non aveva più. Questa scelta le consentì di riconfigurare ancora una volta l’organizzazione, e di ridurre sensibilmente la struttura commerciale e i costi interni ed esterni commerciali e di marketing. La produzione si concentrò sul c/terzi e vennero stretti rapporti di fornitura con alcuni importanti gruppi industriali del settore. Ciò garantì maggiore stabilità dei volumi di vendita e dei flussi di cassa, ma penalizzò naturalmente i già risicati margini economici.
Con il ceto bancario si riuscì a ottenere un ulteriore prolungamento delle moratorie sui finanziamenti, ma i rapporti erano sempre più tesi.
Al punto che a fine 2018 ormai l’azienda non aveva più linee di credito, e doveva finanziare il circolante chiedendo ai suoi principali clienti pagamenti anticipati e ai fornitori nuovi piani di rientro e dilazioni sui pagamenti. Il fatturato si era attestato sui 15/16 mln €, le perdite degli ultimi esercizi avevano ormai eroso completamente il Patrimonio Netto e l’indebitamento era fuori controllo.
Era evidente a questo punto che anche questa nuova strategia non poteva essere sostenuta ancora a lungo. Né si poteva tornare indietro e riprendere a investire sui prodotti a marchio. La crisi era ormai conclamata, e pareva non esserci via di uscita.
L’Accordo di Ristrutturazione dei Debiti ex art.182 bis
A inizio 2019 gli advisor si misero al lavoro insieme alla proprietà per concepire un nuovo piano basato sull’esecuzione di un Accordo di Ristrutturazione dei Debiti ex art.182 bis che avrebbe dovuto traghettare l’azienda fuori dalla crisi il prima possibile.
Nel corso del 2019 si lavorò alla costruzione del Piano e all’avvio delle trattative con i creditori da coinvolgere nell’Accordo di Ristrutturazione dei Debiti e a metà 2020, nonostante i rallentamenti imposti dall’emergenza sanitaria avvenuta nel frattempo, la società depositò il Piano, articolato in base alle seguenti linee guida:
- la continuità (indiretta) dell’attività aziendale e la salvaguardia dei posti di lavoro in capo a un soggetto acquirente;
- la liquidazione di tutto l’attivo aziendale non incluso nel ramo oggetto di cessione;
- la soddisfazione parziale di tutti i debiti inclusi nell’Accordo;
- la soddisfazione integrale di tutti i debiti non inclusi nell’Accordo.
La continuità dell’attività aziendale in capo a un soggetto acquirente
Tra fine 2018 e inizio 2019 l’azienda aveva avviato con un primario gruppo industriale del settore, già cliente e socio di minoranza di Biscotti SpA, una trattativa finalizzata alla cessione allo stesso del ramo aziendale produttivo-commerciale.
L’acquirente aveva manifestato fin da subito interesse nell’operazione, sulla base dei seguenti principali razionali:
- la presenza nell’azionariato di Biscotti SpA;
- gli stretti rapporti di produzione in c/terzi tra Biscotti SpA e le società del gruppo;
- le possibili sinergie logistiche
Nel corso del 2019 quindi vennero effettuate le attività di due diligence e le perizie degli asset oggetto di cessione, che consentirono di formulare a inizio 2020 un’offerta irrevocabile per l’acquisto, da parte della capogruppo, del Ramo d’Azienda di Biscotti Spa costituito da: l’avviamento; il marchio; i principali contratti con clienti e fornitori; i macchinari e gli impianti industriali; i dipendenti.
Conclusioni
Il Piano di Risanamento di Biscotti SpA descritto nelle pagine precedenti, e derivante dall’attivazione di tutte le leve descritte (esecuzione dell’operazione societaria e omologa dell’Accordo di Ristrutturazione del Debito ex art.182 bis, entrambe avvenute a fine 2020) è un piano che sta consentendo a tutti gli effetti alla società di risanare la propria posizione debitoria.
Questo caso mette in luce alcune considerazioni che possono essere utili anche ad altre aziende che si trovino a dover affrontare situazioni simili, e in particolare:
- oggi più che mai è vitale per ogni azienda dotarsi degli strumenti e delle competenze per riconoscere subito i primi segnali di una potenziale situazione di crisi, e mettere in atto tempestivamente interventi strutturati per risolverla;
- dove ciò non avvenga, questo caso dimostra che anche nelle situazioni più difficili, quelle in cui sembra che non ci siano più alternative rispetto al default, una soluzione alternativa per garantire la continuità aziendale c’è sempre;
- il risanamento e il rilancio di un’impresa non è mai un intervento rapido e standardizzabile, bensì un processo lungo e articolato, che nella maggior parte dei casi richiede anni di lavoro, competenze specifiche e soprattutto lucidità mentale e determinazione da parte della proprietà e del management;
- operazioni di questo tipo hanno successo, e quindi contengono l’impatto negativo per gli stakeholder (o addirittura generano un impatto positivo), solo se vengono affrontate in modo strutturato, con strumenti, metodologie e risorse adatte alla situazione, mentre l’impulsività e l’improvvisazione conducono sempre, come in tutte le cose, a un altro tipo di esito.
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