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Parola d’ordine: ristrutturare

La doppietta di Andrighetti Legnami

di Marialetizia Mele

Dalle segherie di famiglia in Veneto agli stabilimenti in Africa e ritorno. La storia di Andrighetti Legnami nasce nel 1960 con il fondatore Olindo, uno dei primi imprenditori italiani a importare legno esotico per l’edilizia, e arriva a oggi con suo nipote Arrigo Barion, 38 anni, da poco direttore generale: un percorso che ha visto una grande espansione all’estero, guidata da Olindo Andrighetti fino ai primi anni 2000, e poi due ristrutturazioni, a opera della seconda e terza generazione insieme. L’impresa, che ha sede a Vigorovea, in provincia di Padova, conta circa 30 collaboratori e nel 2021 ha registrato un fatturato di 11 milioni di euro.

Arrigo Barion è entrato in azienda nel 2011 ed è tra i protagonisti della trasformazione, durata dieci anni, dell’impresa costruita dal nonno, scomparso nel dicembre 2021 a 93 anni. «Negli anni ‘50 a nonno Olindo non bastavano le segherie che aveva ereditato», racconta Arrigo Barion, «e nel 1958 andò in Costa d’Avorio: investì tutto ciò che aveva per comprare una nave di legname esotico e prima che arrivasse in Italia aveva già venduto l’intero carico per telefono ai suoi clienti. Nel 1973 aprì il primo stabilimento in Africa e nel 2005 gli impianti di produzione erano sei tra Costa d’Avorio, Camerun e Liberia, con 2500 dipendenti. Andrighetti Legnami era diventato uno dei 5 player mondiali per la produzione di legno esotico. Questo modello di business è proseguito fino al 2010, quando ci siamo resi conto che era necessario un cambiamento».

Un cambiamento che è stato insieme anche l’avvio di un passaggio generazionale, con il suo ingresso in azienda: quale parte ha avuto in questo il fondatore Olindo?

Mio nonno ci ha trasmesso valori saldi, credeva molto nel ruolo sociale dell’imprenditore: negli stabilimenti in Africa, per esempio, aveva creato borse di studio per i figli degli operai. Ma non concepiva il passaggio generazionale: le sue figlie, mia madre Ada e mia zia Nicoletta, lavoravano già in azienda dagli anni ’80, ma hanno assunto ruoli manageriali solo dopo il 2000. Quando il nonno ha cominciato ad avere problemi di salute e non poteva più essere al centro di tutto, l’azienda si è trovata in difficoltà, anche per la situazione contingente della crisi finanziaria internazionale e di un mercato che stava rallentando. Nel 2010 ci siamo resi conto che dovevamo cambiare paradigma e ragionare sulla Andrighetti del 2030. Così abbiamo deciso di avviare una prima ristrutturazione nell’arco di cinque anni, dal 2010 al 2015, con l’obiettivo di portare l’azienda verso la sostenibilità.

Il suo ingresso in azienda, nel 2011, ha coinciso con questa fase di grande trasformazione: qual è stato il suo ruolo e quali difficoltà ha affrontato?

Per la laurea specialistica in economia avevo fatto uno stage e la tesi in Brasile con Floresteca, un’impresa che si occupa di foreste sostenibili. Il mio sogno era portare lo stesso modello di sviluppo in Africa e dopo la laurea, nel 2011, sono andato in Costa d’Avorio, dove sono rimasto fino al 2014. Una esperienza bellissima, ma anche durissima, catapultato di colpo in un Paese che non conoscevo, senza alcuna preparazione. Mi sono occupato di tutto, dalla parte forestale alla produzione, dal settore finanziario alle pubbliche relazioni con il governo, e ho fatto pratica da direttore generale, affiancando un altro manager. Per rendere gli stabilimenti africani sostenibili al 100% sono state eliminate alcune linee di prodotto, perché il ritmo di produzione aveva un impatto non sostenibile sulle foreste, e abbiamo chiuso tre impianti su sei. Grazie al nostro ruolo preminente di imprenditori, ho cercato di portare avanti un progetto di sostenibilità con il governo ivoriano e siamo arrivati a un piano condiviso per circa 50 mila ettari da gestire con l’associazione locale dei produttori di legni tropicali. Avevamo trovato anche dei finanziatori, ma il problema era la stabilità politica del Paese, il timore che lo Stato non garantisse la sicurezza degli investimenti. La foresta principale dei nostri approvvigionamenti, che già avevamo voluto preservare, nel 2018 è poi diventata parco naturale, con divieto di taglio. A quel punto però noi non eravamo già più in Costa d’Avorio, perché nel 2015 abbiamo preso una decisione drastica e abbiamo ceduto tutte le attività africane a un gruppo libanese. È iniziata così la seconda fase della ristrutturazione: dal 2015 al 2020 abbiamo riconvertito il business in green, con la certificazione FSC che garantisce la gestione responsabile delle foreste e dei prodotti derivati, e abbiamo spostato il nostro asset principale in Croazia e verso la latifoglia europea. Nel 2009 avevamo deindustrializzato Andrighetti Legnami, che era diventato solo un deposito commerciale; nel nuovo piano industriale siamo tornati alle lavorazioni nello stabilimento di Vigorovea. 

Andrighetti Legnami_Arrigo Barion

Arrigo Barion, Andrighetti Legnami

La ristrutturazione aziendale ha richiesto anche un percorso di managerializzazione?

Avevamo inserito dei manager esterni di alto profilo, ma sono cambiati nel corso del tempo. Un paio di anni fa, dopo la reindustrializzazione e i nuovi organigrammi, abbiamo scelto di affidare lo sviluppo del piano industriale a un manager esterno, Alex Fattorini, che oggi ha assunto il ruolo di consigliere d’amministrazione. Il responsabile operations è arrivato dall’esterno, perché ci servivano competenze di industria 4.0 che non avevamo, ma abbiamo anche valorizzato i collaboratori interni, come nel caso del nuovo direttore commerciale. Abbiamo creato percorsi di crescita e costruito una prima linea che non c’era. Dal 2020 investiamo molto nel personale, con corsi di management studiati su misura con consulenti esterni. Oggi la nostra azienda si distingue anche per il clima interno: nel 2016 eravamo in 14, ora siamo una trentina.

Quali sono gli obiettivi dell’azienda per i prossimi anni?

Vogliamo essere 100% sostenibili e diventare società benefit o B corp nei prossimi anni. L’obiettivo è raggiungere la completa sostenibilità nel 2030, utilizzando anche gli scarti del legno per produrre corrente elettrica e gas. Puntiamo all’autonomia energetica e finanziaria. Fino alla metà del 2021 siamo cresciuti molto, superando i livelli degli anni ’80, grazie anche al boom dell’edilizia. Il fatturato dell’anno scorso è stato di 11 milioni, quest’anno dovremmo arrivare a 15.

Come imprenditore di terza generazione, quali impegni e sfide ritiene di dover affrontare in futuro?

Ho pochi anni, ma molti chilometri: l’esperienza in Africa è stata molto formativa, ho capito che non sapevo davvero cosa facesse un imprenditore e che tipo di imprenditore avrei voluto essere. Dopo più di dieci anni posso dire di voler essere comunicativo, empatico, un imprenditore che ascolta le persone. Ho fatto anch’io molta formazione, anche in Confindustria, frequento un master ogni anno e ho un mental coach che mi segue. Per me è importante la sicurezza e la qualità del lavoro, vedere che le persone stanno bene in azienda. Ai colloqui di assunzione diciamo chiaramente quali sono i nostri valori, è fondamentale scegliere le persone giuste con cui lavorare.

Come gestite le relazioni familiari all’interno dell’azienda? Anche se è ancora lontano, avete già pensato al prossimo passaggio generazionale?

Prossimamente entrerà in azienda mia cugina, che ha 24 anni; siamo due figli unici e io ho due figli di 3 anni e mezzo e 9 mesi, quindi è presto per la prossima generazione. La nostra preoccupazione finora è stata di evitare dissidi interni e abbiamo modificato lo statuto perché nel Cda, oltre alle due socie al 50%, mia madre e mia zia, ci sia un consigliere indipendente con diritto di voto. È importante che le future generazioni facciano esperienza altrove prima di entrare in azienda. Da parte mia cercherò di trasmettere ai miei figli la mia passione per questo lavoro, poi saranno loro a decidere cosa fare. Senz’altro non resterò per sempre in azienda: mi sono dato come obiettivo i 75 anni, poi passerò la mano a qualcun altro e mi dedicherò a un nuovo business.

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