I SALOTTI DI FAMILY BIZ

Governance & Famiglia 

Bologna, 28 marzo 2025 – Baglioni Hotel 

Operazioni di M&A nel family business

Il caso Saba Italia Srl

di Sofia Tarana

È in provincia di Padova, a San Martino di Luperi, che inizia il salto imprenditoriale di Amelia Pegorin fatto di tanta fatica e di un po’ di fatalità. Da insegnante elementare e filosofa di inclinazione, per senso di responsabilità passa ad occuparsi del piccolo laboratorio di tappezzeria di famiglia. Scopertasi imprenditrice, è grazie alla sua grande determinazione che la sua piccola impresa si evolve: messo a frutto il suo bagaglio umanistico, con un’intuizione scompone il concetto di divano rivoluzionandone i paradigmi e nasce così nel 1987 Saba Italia- noto marchio di design nel settore imbottiti con un’estetica flessibile, al femminile, fatta di colori accoglienti. Negli anni l’azienda si sviluppa fino a raggiungere una dimensione internazionale e una presenza in 60 paesi del mondo, allargando l’offerta ad altri prodotti di living pur mantenendo il core business del divano. La crescita porta Amelia ad interrogarsi sul futuro: la figlia Alessandra Santi, Responsabile Comunicazione in Saba, tiene stretto il suo talento e le sue inclinazioni scegliendo di non avvicendarsi nella leadership. Così nel 2018 Amelia entra a far parte del Gruppo IDB (oggi Dexelance), polo aggregatore di aziende del design italiane, che mantenendo invariate l’identità e il management supporta Saba nel rafforzamento della sua governance, assicurandone la continuità. In questa intervista Amelia Pegorin, ora Presidente e Direttore Creativo di Saba, ci racconta la sua impresa.

Da maestra elementare a Presidente e Direttore creativo del suo family business: la sua storia e quella di Saba Italia…

È una storia molto bella e anche un po’ “magica”. Vengo da una cultura umanistica- da giovane non avevo di certo l’ispirazione di diventare imprenditrice, ero molto lontana da questo tipo di obbiettivo. Le circostanze della vita però, a volte, non ce le cerchiamo noi: la motivazione che mi ha spinto ad intraprendere questo percorso è stata la necessità di dovermi prendere cura della piccola tappezzeria di famiglia. Mi sono trovata a prendere questa decisione facendo un salto quantico- da giovani non si ha la presunzione di riuscire a vedere nell’orizzonte lungo della vita come si evolveranno le cose. Io credo sempre che il voler fare del nostro meglio è il primo ponte per creare delle condizioni straordinarie e l’affidarsi a volontà che non sono nostre aprono su noi stessi un ventaglio di talenti che non pensavamo di avere. Nella mia vita è successo questo. Quando ho fatto questa scelta avevo 27 anni e già 9 anni di ruolo come insegnante, dopo aver vinto un concorso grazie a tanto studio. Ho iniziato dicendo che per me è stata una storia “un po’ magica” perché io mi sono innamorata di quello che facevo, cercando di guardare i divani dal mio punto di vista. Ho attinto al mio bagaglio umanistico, fatto anche di pensieri filosofici e ho scomposto il prodottoero molto affascinata dal concetto della flessibilità e dalla semplificazione, più le cose sono semplici e più nelle nostre mani possono dare origine a cose complesse (il complesso, invece, è pachidermico da muovere). Quindi, sono partita da prodotti di imbottito semplici e flessibili– non volevo dipendere da dualismi come penisola destra/sinistra, perché dobbiamo crearci dei paradigmi definiti? Questa è stata la mia chiave di lettura ed è così che nel 1987 è nata Saba Italia.

 

A che punto è Saba Italia oggi? 

Saba ha chiuso l’anno corrente a 22 Milioni, conta 63 dipendenti e ci muoviamo su 60 paesi del mondo- dove da un punto di vista di fatturato siamo intorno al 40% Italia e un 60% estero, con una distribuzione che si sta piano piano muovendo verso un target di mercato qualificato. È un’azienda a cui, tra i suoi valori aggiunti, viene riconosciuta l’originalità e l’identità– aspetto che in questi anni, mi permetto di sottolineare, è fondamentale. Il fatto di aver preservato- a denti stretti talvolta e con grande fatica- questi pilastri ci hanno portati non a numeri iperbolici, ma a crescere sempre con costanza senza perdere i nostri contenuti prosperando intorno a dei driver molto precisi, che vanno oltre ai limiti temporali di un fondatore. Saba è nata intorno al mondo dei divani, pochi prodotti di lunga permanenza di catalogo, un’estetica al femminile con linee morbide e abbracciano colori accoglienti.  Ora la nostra grande sfida è costruire attorno al divano uno spazio ed elementi, altrettanto flessibili, che vengano riconosciuti come Saba.

 

 

Oltre a lei in azienda è presente anche sua figlia…

Ho una figlia, si chiama Alessandra Santi. Si è laureata in scienze delle relazioni pubbliche per una sua natura altamente empatica e relazionale. Attraverso di me è stata imbevuta, fin da piccola, nel mondo del design- anche se io non le ho mai fatto vessazioni per entrare in Saba e non l’ho mai fatta sentire predestinata ad entrare un giorno nell’azienda. Ho sempre guardato mia figlia come altro da me. Alessandra, di sua spontanea volontà, dopo un percorso indipendente come PR nella moda, ha deciso di entrare in Saba per occuparsi della comunicazione– mai avrei pensato prima che la comunicazione fosse un volano fondamentale per un’azienda. Tutto è stato naturale. Ognuno deve apportare nella vita, e nel lavoro, quel tassello per il quale è perfetto a comporre il quadro. Il tassello di Alessandra era ed è perfetto per quel ruolo.

 

Amelia Pegorin e Alessandra Santi

Nel 2018 la scelta di entrare in IDB (oggi Dexelance) società quotata in borsa lo scorso anno…

Ottobre 2018, dopo due anni di auto-analisi ed esaminazione di ciò che questo Gruppo poteva offrire, ho sentito forte la preoccupazione verso il futuro (l’azienda iniziava davvero a crescere, mia figlia ha un determinato taglio professionale e in un’azienda di famiglia tutto è famiglia). L’azienda non aveva bisogno di essere salvata, anche perché per l’ingresso in IDB le condizioni erano: bilanci sani, una storia raccontabile e valori che potessero essere nutriti nel tempo. Avevo il grande desiderio di dare a questa azienda una visione futura, che andasse aldilà della debolezza data dal mio tempo fisico. Ho fatto questa scelta quando ero ancora giovane e in un momento in cui non ne avevo bisogno. Ho meditato su tutti gli scenari e ne ho presi tanti in considerazione. Quando sono stata contattata- cominciavamo ad essere riconosciuti- e ho visto la proposta e il piano di sviluppo del Gruppo IDB è come se mi fossi sentita un abito cucito su misura: venivano garantiti due punti fondamentali, ovvero l’identità (nessun manager dall’esterno veniva qui a dettare le politiche) e la cura delle persone interne

 

Come vi sta supportando nella vostra nuova fase di sviluppo e rafforzamento dell’organizzazione? Che tipo di governance aziendale vi caratterizza?

Il modello di sviluppo di IDB (ora Dexelance per rebranding) supporta proprio garantendo una visione strategica comune nelle operazioni, faccio come esempio l’internazionalizzazione: un conto è farlo come singola azienda, un conto è farlo trainata da un Gruppo di questa portata. Sicuramente questa è una tutela in termini di pericoli e danni economici. Nella digitalizzazione noi, altro esempio, abbiamo fatto passi da gigante- IDB è stato un grande driver di crescita, senza ingerenze esterne- noi abbiamo mantenuto il nostro management che poi è entrato anche nella governance (alcune persone fanno parte del CdA). Una figura che è stata importantissima è stato uno dei manager del Gruppo IDB, il Dott. Giorgio Gobbi- a lui dobbiamo tutta una serie di dinamiche da mettere in atto per rendere più rapida ed efficiente l’organizzazione interna. In questo schema, ovviamente, questa è un’azienda che si sta managerializzando. Con la quotazione in borsa di IDB, che è avvenuta 2 anni fa, le prospettive sono l’aumento della visibilità con conseguenti relazioni più qualificate.

 

L’acquisizione da parte di IDB (oggi Dexelance) ha a che fare con ragioni di continuità, come vede dunque il futuro per il suo family business?

Lo vedo come crescita di questo management, che insieme a me sta governando l’azienda e spero che questo modello di impresa diventi con loro: l’impresa futura. Per tanto tempo avevo una sorta di transfert: Saba era Amelia, Amelia era Saba- l’identità di Saba ero io. Ad un certo punto Saba è cresciuta, è diventata così “tanto” che l’ho vista altro da me. Questo altro da me è dato da quelle 63 persone che ci lavorano- che poi sono 63 famiglia- che vanno guardate con la consapevolezza che tutto questo non può e non deve finire con me. Il modello di business futuro è continuare a trasferire questo concetto, perché ogni azienda crea un distretto di benessere, come strumento sociale che va oltre al tuo patrimonio. Dire che è una famiglia è una parola grossa, ma anche la famiglia nel suo interno è una piccola impresa dove si deve trovare serenità. L’impresa è un corpo sociale che non va identificata con il fondatore, altrimenti muore con lui. 

 

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