giovedì, Dicembre 12, 2024

I SALOTTI DI FAMILY BIZ

La Governance proprietaria, aziendale e familiare nei family business   

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L’affiancamento manageriale per rafforzare il family business

Gruppo Davines

di Sara Colonna

Il gruppo Davines S.p.A. è un family business italiano con sede a Parma, attivo settore della cosmetica professionale con i marchi Davines (per l’haircair) e Confort Zone (per lo skincare). L’azienda, della famiglia Bollati, ha festeggiato i 40 di attività lo scorso anno- chiudendo con un fatturato di oltre 263 milioni di euro (+14% rispetto al 2022). «La crescita ha spinto la struttura organizzativa nella direzione della progressiva managerializzazione, in ottica di diffusione delle competenze» spiega così Davide Bollati, figlio dei fondatori e Presidente del Gruppo, le innovazioni apportate in Davines. «Vedo nell’affiancamento di un manager alla proprietà l’opportunità di rafforzarsi in termini di cultura organizzativa» chiarisce nell’intervista l’imprenditore.

Nei primi due anni di attività Gruppo Davines è un family business rappresentato da una coppia di coniugi, che decide di convertire la taverna di casa in un laboratorio. Ci può raccontare gli inizi? 

Negli anni Settanta mio padre Gianni era socio di Maldy italiana Srl, ditta di produzione di prodotti tricologici e cosmetici conto terzi che esiste tuttora e ha sede in Pilastrello (Prov. di Parma). Dal momento che il suo desiderio era quello di avviare una attività propria, decise di vendere le quote in suo possesso e con l’aiuto e l’appoggio della moglie Silvana, mia madre, fondò agli inizi degli anni Ottanta una azienda che per i primi due anni di vita ebbe sede legale e operativa nella taverna di casa adibita a laboratorio di fabbricazione di prodotti per capelli su licenza. I miei genitori scelsero di chiamare l’azienda Davines,  simbolo dell’unione dei nomi dei figli Davide, io, e Stefania, mia sorella. La struttura organizzativa era piuttosto semplice : mia madre si occupava delle formulazioni chimiche e mio padre faceva la parte commerciale girando il paese con un furgone per promuovere i prodotti presso i grossisti. Nel 1987, sulla scia della buona risposta del mercato italiano, la società amplia la sua capacità con l’acquisto di un capannone. La taverna non bastava più e c’era bisogno di un sito potenziato anche in vista della assunzione dei dipendenti. Sembra che non siano solo le aziende americane a nascere nei garage.

 

Dieci anni dopo la fondazione del family business la seconda generazione entra in azienda. Quali sono le innovazioni portate nella governance e nella strategia?  

La premessa è che non ho mai voluto scavalcare mio padre, anzi inizialmente credo proprio di averlo imitato nella strategia: così come lui aveva aperto il mercato nazionale spostandosi fuori regione, la prima cosa che ho fatto è stata quella di aprire il mercato internazionale spostandomi fuori dall’Italia. Era il 1992 ed ero appena rientrato dagli Stati Uniti, dove avevo completato un master in Cosmetologia dopo una laurea in farmacia conseguita in Italia. Il master prevedeva la possibilità della frequentazione serale. Di giorno lavoravo in una azienda del settore, dove ho perfezionato la lingua e ho acquisito sul campo fondamenti di gestione e management. Sono cresciuto in termini di cultura imprenditoriale. Quando sono ritornato in Italia mi sono occupato della costruzione della parte internazionale- con gli Stati Uniti a rappresentare tutt’ora Davines il primo mercato, davanti a Europa e Asia. Sulla tradizione valoriale della famiglia ho innestato un patrimonio di competenze specialistiche che sono state basilari per la crescita futura. Per questo motivo mi definisco imprenditore Erasmus e consiglio a tutti di esserlo per effetto della forte interconnessione che hanno oggi i mercati nello scenario globale. L’altra innovazione importante è stata la nascita del brand  comfort zone dedicato allo skincare, che affiancava il marchio Davines per i prodotti per capelli. Da azienda conto terzi, ho trasformato l’azienda in una piccola multinazionale (con 40 sedi all’estero) che vende a proprio marchio.

 

Per rispondere alle esigenze di un family business che cambia pelle, come avete governato il cambiamento nella struttura organizzativa? 

La crescita ha spinto la struttura organizzativa nella direzione della progressiva managerializzazione, in ottica di diffusione delle competenze. È naturale che un modello di business orientato alla complessità dei mercati internazionali richieda una struttura organizzativa altrettanto complessa. Questo, però, non significa discontinuità dei valori. Il nostro direttore generale è rimasto con noi per 17 anni e questo ha garantito una soluzione di continuità nella strategia. L’apertura a figure esterne che abbiamo selezionato in base alle loro conoscenze dei mercati ed alla loro comprensione profonda dei prodotti e delle tecnologie e che poi sono rimaste per lungo tempo ha permesso di perfezionare alcune capacità essenziali e prioritarie per la crescita a lungo termine del business, come la capacità di avere una comunicazione chiara e trasparente e un impegno motivato e costante. Vedo nell’affiancamento di un manager alla proprietà l’opportunità di rafforzarsi in termini di cultura organizzativa.

 

Oggi in azienda è presente anche la terza generazione. Che tipo di educazione avete scelto per favorire la nascita di futuri leader? 

Nel 1998 entra in azienda mia sorella Stefania che, forte di una laurea in giurisprudenza, segue la parte dei brevetti ma anche del welfare in stretta collaborazione con la divisione delle risorse umane. Stefania ha due figli che sono entrambi operativi nel nostro gruppo. D’accordo con Stefania e con loro, abbiamo deciso di impedire gli errori di una educazione troppo provinciale e li abbiamo subito catapultati nello scenario globale. Alessandro lavora nella nostra filiale di Hong Kong, mentre Alberto  in quella di New York. Il trattamento non è di favore perché i manager fanno di tutto per mettere loro i bastoni tra le ruote. Sottolineature a parte mi piace ritornare sul discorso del ruolo dei manager e della visione internazionale come fattore critico di successo.  Io stesso mi definisco un imprenditore Erasmus e sono convinto che una sfidante esperienza internazionale sul campo debba essere parte integrante del curriculum di un futuro leader, che viceversa non sarà mai tale. Non si tratta di imparare le lingue, ma di acquisire una capacità di visione. I manager giocano un ruolo nel favorire l’allenamento di un leader. Ultimo ma non ultimo la fedeltà alla tradizione: mai dimenticare la lezione di etica che hanno appreso dai loro nonni prima e dai loro genitori, perché nel lungo periodo è premiante con le relazioni e remunerativa nel mercato.

 

Quali sono i valori che guidano le scelte dell’agenda del leader?

Il leader deve avere chiarezza di scopo, nel perseguimento del quale deve attuare comportamenti che diano l’esempio. Come ho detto sopra in merito all’educazione delle future generazioni: l’equità -che non significa trattare tutti nello stesso modo, ma trattare in base al merito. Il leader deve avere grande spirito di servizio e una buona dose di coraggio.

 

Davines Village Parma - Giardino Scientifico

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