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Da Vigevano al Giappone: il viaggio di un’impresa lungo quattro generazioni

Il caso di Biffignandi SpA

di Maurizio Giuseppe Montagna

Il mio inserimento nell’azienda di famiglia non era assolutamente scontato. Proprio come era avvenuto per mio padre. In entrambi i casi, la continuità generazionale è stata assicurata per precise scelte individuali”.

Così Nicolò Biffignandi, 35 anni, da un anno e mezzo amministratore delegato dell’impresa di famiglia, racconta le particolari condizioni che hanno permesso all’azienda di continuare il suo viaggio tra le generazioni.

“Ora Biffignandi Spa, industria che da quasi cento anni è impegnata nella distribuzione di materiali abrasivi, è gestita dai miei genitori. Ma io ho un ruolo di primo piano (e crescente) nello sviluppo di nuovi progetti e nello studio di cambiamenti organizzativi”.

In che modo è stata assicurata la continuità familiare nella gestione dell’azienda? E come si è sviluppato il business dalla fondazione dell’attività a oggi? Lo abbiamo chiesto allo stesso Nicolò Biffignandi.

Partiamo dall’ora zero. Come e quando nasce la vostra azienda?

Nasce a Vigevano nel 1923, da un’idea del mio bisnonno Amedeo. In quell’epoca, la città sforzesca era famosa per l’industria della scarpa – pensi: ai tempi il 70% della produzione mondiale si svolgeva all’ombra della Torre del Bramante. Il mio bisnonno pensò semplicemente di inserirsi nell’indotto. Prima importando dalla Germania macchinari per la produzione delle scarpe. Poi dedicandosi a quello che sarebbe diventato il core business dell’impresa: la distribuzione di prodotti abrasivi flessibili, forniti dall’azienda svizzera Sia Abrasives e venduti ai calzolai. Alla fine, diventammo partner esclusivo della società elvetica per il mercato italiano. Dalle scarpe ci allargammo poi ad altri ambiti distributivi, come legno, autocarrozzerie, metallo, pannelli truciolari e materiali compositi. La società proseguì su questi binari per molti anni. Finché un evento inatteso, nel 2008, rovesciò il tavolo: Sia Abrasives, il nostro partner di una vita, entrò nel gruppo Bosch. Il che significava un cambiamento epocale per noi: da distributore – quasi filiale – di una piccola azienda a referente di un colosso mondiale. Proprio mentre la crisi finanziaria ed economica del 2008 stava rendendo evidente il fatto che non si poteva dipendere solo dal mercato domestico.

Come avete affrontato queste criticità?

Premetto che a posteriori possiamo riconoscere che nulla è cambiato, che continuiamo a lavorare con Sia Abrasives come e più di prima. Ma ai tempi, una certa preoccupazione ce l’avevamo. Così, la ditta Biffignandi decise di diversificare aprendo anche attività complementari – non in concorrenza con l’azienda svizzera – per poter lavorare anche con altri partner.

Della serie: Don’t put all your dreams in one basket, come cantava Ray Charles. È così?

È esattamente così. Abbiamo avviato investimenti per l’internazionalizzazione e diversificato il prodotto, anche se Sia Abrasive è ancora il nostro core business. A titolo di esempio, la formazione, nel 2008, di Vetrocare srl, servizio di manutenzioni in opera per vetri piani, sempre con prodotti abrasivi. L’acquisizione, dal fallimento, di Künzle & Tasin, storica società che produce macchine per levigare pavimenti in legno, sinergiche e complementari con i nostri prodotti. E l’acquisto della maggioranza di Hpm Engineering, industria di macchine per aspirazione e filtrazione di sostanze inquinanti, nella cui gestione però non siamo coinvolti. Da singola impresa siamo così diventati un gruppo: oggi l’azienda Biffignandi ha un fatturato di 17 milioni e il gruppo di 32. Mentre i dipendenti della capofila sono 65, quelli del gruppo 115.

Dal suo bisnonno in poi si sono verificati due passaggi generazionali…

Sì. Il primo è stato, diciamo così, molto soft, per il secondo c’è una storia dietro. Mio nonno non aveva aspettative di continuità, anche perché l’azienda era ancora molto piccola: sperava che mio padre andasse a lavorare in banca. Un lavoro dipendente, stabile e sicuro. Ma i piani del destino erano molto differenti: mio padre iniziò ad appassionarsi ai meccanismi della ditta e decise di iniziare a lavorarci anche prima di laurearsi. Questo, per mio nonno, fu un po’ l’inizio della sua seconda vita professionale: spostò nuovamente la sede dell’impresa a Vigevano (anni prima era stata trasferita a Milano) e abbandonò sia lo scetticismo sul futuro dell’azienda, sia le sue aspettative su mio padre, riappassionandosi al lavoro. E così avvenne il passaggio, che coinvolse anche mia madre, ingegnere, entrata a pieno titolo nella gestione della società.

Quando è avvenuto il suo ingresso in azienda?

Ho vissuto l’impresa fin da ragazzino. Appena arrivava l’estate, con la fine delle scuole, lavoravo in produzione o in magazzino. Nel 2005 mi hanno mandato in Sia Abrasives nello stabilimento di Halifax (Gran Bretagna), per imparare il lavoro e migliorare il mio inglese. Poi all’università ho studiato Economia con specializzazione in Finanza, un percorso molto diverso da quello classico di management e gestione aziendale. Finché, nel 2011, mi sono laureato.

E ha dovuto scegliere.

E ho dovuto scegliere. In quel periodo, Biffignandi spa stava sviluppando un progetto in Giappone per diventare distributore in esclusiva in Europa di Mipox Corporation, azienda locale di prodotti micro-abrasivi. Replicando, in pratica, quello che aveva fatto il mio bisnonno con Sia. Mio padre mi ha coinvolto così: “Abbiamo bisogno di una persona che segua il progetto. Ti interessa?.

E lei ha detto sì.

In tutta onestà, mettermi semplicemente sulla scia di mio padre e imparare lo stesso lavoro che svolgeva lui non avrebbe esaltato né me né i miei genitori. Ma ritrovarmi coinvolto in un nuovo progetto da sviluppare, oltretutto in un paese così lontano e pieno di fascino, era tutta un’altra cosa. Una vera e propria sfida, che si è rivelata decisiva per il mio futuro: tornato dal Giappone dopo due mesi intensissimi, ero a tutti gli effetti inserito nei ranghi dell’azienda.

Nicolò Biffignandi

Nicolò Biffignandi, Biffignandi Spa

Si sente uno startupper, anche se rappresenta la quarta generazione dei Biffignandi?

In un certo senso sì. E, lo ripeto, devo ringraziare il progetto con Mipox. Sono entrato nell’azienda di famiglia sviluppando un progetto da zero, proprio mentre mi relazionavo con una nuova civiltà e cultura del lavoro. Ne sono rimasto affascinato: ora sto persino studiando il giapponese. Tutto questo mentre i nostri rapporti con Mipox si sono consolidati: siamo un po’ percepiti come una loro filiale, proprio come accade, dai tempi del mio bisnonno, per Sia Abrasives. Con una piccola aggiunta: ci siamo legati alla società nipponica acquistandone una piccola partecipazione.

I rapporti con i vostri partner giapponesi sono tuttora il suo impegno principale?

Diciamo che occupano una parte del mio tempo, anche se ora – in qualità di amministratore delegato – gestisco anche altre attività. Per esempio, la selezione del personale di figure medio-alte: la Biffignandi del futuro non potrà più essere gestita solo dalla famiglia, ma dovrà ampliare il management, ricorrendo maggiormente a dirigenti esterni. Non potrebbe essere altrimenti, dato che l’azienda è in una fase piuttosto pronunciata di sviluppo progetti, che conduciamo parallelamente alle nostre attività storiche.

Quali progetti state sviluppando?

Uno in particolare: alcuni anni fa abbiamo avviato una ricerca per produrre internamente prodotti abrasivi complementari (quindi non in concorrenza) con quelli di Sia e Mipox. Pensiamo, per esempio, a carte vetrate tridimensionali. Attualmente siamo in fase di sviluppo organico, con investimenti forti. Perché l’abbiamo fatto? Perché ci abbiamo visto un business. Ma anche per un senso di completezza. Siamo sempre stati distributori e trasformatori di abrasivi. Ora vogliamo sviluppare anche know how e tecnologie nostre. Magari distribuendo i prodotti ai nostri due partner internazionali, con cui, d’altra parte, abbiamo già organizzato cross di questo tipo.

Altre sfide che si sono presentate nella sua vita in azienda?

Soprattutto progetti spot, attività straordinarie. Come l’integrazione, a inizio 2020, di una piccola azienda meccanica di Genova, che poi ho inserito nella nostra organizzazione. Per il futuro, la sfida è assumere più responsabilità nella capogruppo. I miei genitori sono entusiasti del loro lavoro, sono ancora giovani: tutto questo mi fa sentire protetto e mi permette di lavorare senza particolari pressioni. Ma so che un giorno sarò chiamato a gestire l’azienda in prima persona. Così, cerco sempre nuove sfide in azienda, per cercare di crescere professionalmente.

A quanto si capisce, organizzare la continuità fra generazioni non vi ha tolto il sonno. Anche perché lei è l’unico erede…

Cerchiamo di dividerci i compiti e di motivarci vicendevolmente. Io e mio padre ci comportiamo come coetanei, più che come genitore e figlio. Poi chissà: un giorno potremmo anche cercarci un socio o vendere l’azienda. Un giorno, forse. Ma non ora.

Ha qualche sogno nel cassetto?

Sì: un sogno esterno alla mia azienda. Mi piacerebbe trovare il tempo per dedicarmi alla cultura di impresa. Che una delle più grandi difficoltà incontrate dalle aziende. Il mercato viaggia a due velocità: da una parte persone molto formate, richieste e motivate, dall’altra una parte crescente che rimane ferma, ancorata a modelli dati da sistemi educativi tradizionali. Modelli che ormai non sono più sufficienti. Ritengo che un giovane possa rivelarsi in grado di giocare questa partita, condividendo idee e un po’ di freschezza. E anche, perché no, portando in dote le sue esperienze. Come quelle che ho vissuto io in Giappone, a contatto con una cultura del lavoro davvero particolare e forte.

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