lunedì, Dicembre 2, 2024

I SALOTTI DI FAMILY BIZ

La Governance proprietaria, aziendale e familiare nei family business   

2025 - Milano - Bologna 

Per informazioni

Sei un un imprenditore di una azienda di famiglia?

VUOI RACCONTARE LA TUA ESPERIENZA?

prendi contatto con la redazione

Copertina articolo FamilyBiz

«La vera difficoltà è la convivenza generazionale, non il passaggio»

Francesco Ongaro, Trevigroup

di Marialetizia Mele

«Trovavo restrittivo il ruolo dell’agente, volevo fare l’imprenditore e volevo trasformare l’agenzia in azienda». Èquello che ha fatto Francesco Ongaro, che nel giro di alcuni anni ha cambiato radicalmente l’impresa di famiglia. L’agenzia RAS fondata dal padre Roberto nel 1981 era diventata Trevigroup nel 2001, con 4 sedi in provincia di Treviso (Oderzo, Villorba, Motta di Livenza e Spresiano); oggi l’azienda ha 30 collaboratori, un fatturato provvigionale 2022 di circa 1,2 milioni di euro e si occupa non solo di assicurazioni con le compagnie Allianz, Axa e Chubb, ma anche di consulenza per imprese e privati.

Nel 2017 Francesco Ongaro è stato il protagonista di un passaggio generazionale che, iniziato con difficoltà, ha poi portato l’azienda a una svolta. Oggi è l’amministratore delegato e il socio di maggioranza, ma nel 2004 era entrato in azienda come apprendista e contro il volere del padre. «Avevo 20 anni», racconta, «mio padre, presidente del Cda, era contrario ad avere familiari in azienda e mi ha assunto il suo socio. Avrei voluto fare il commerciale, invece mi inserirono come apprendista».  

Di che cosa si occupava all’inizio?

Per tre mesi mi hanno collocato in uno stanzino, chiamato “archivio morto”, a mettere in ordine vecchie carte, sperando che cambiassi idea. Invece sono andato avanti e ho percorso tutti i ruoli impiegatizi: questo è stato importante, perché oggi i dipendenti sanno che conosco tutte le attività aziendali. Avere un padre così duro è stata una fortuna, perché per le persone con cui lavori sei sempre il “figlio di” finché non dimostri il tuo valore. Oltre alle mie 8 ore di lavoro ne facevo ogni giorno quasi altrettante, non retribuite, per imparare altro; nel 2006 sono stato selezionato da Ras per un loro master e nel 2007 mi sono iscritto all’albo. Nel frattempo ero entrato nel Gruppo Giovani di Confindustria. Negli anni successivi ho cominciato a occuparmi di altri settori, come quello aeronautico, poi di gestione finanziaria e delle prime consulenze come consulente tecnico di parte; abbiamo anche iniziato a diversificare l’attività, oltre alle assicurazioni. E nel 2016 ho avviatoil percorso che ha trasformato l’azienda.

Perché e come voleva cambiare l’azienda di famiglia?

Il problema era quello di apparire sempre come agenzia Allianz (RAS ne frattempo era diventata Allianz), mentre le peculiarità che ci differenziavano dalle altre agenzie non erano percepite dai clienti. Mio padre era incuriosito dalle mie idee, ma anche frenato dal suo percorso diverso: gli agenti sono imprenditori, ma il business plan e la programmazione li fanno le compagnie assicurative di riferimento. Io non volevo fare l’agente, ma l’imprenditore, e volevo trasformare l’agenzia in un’azienda. Mio padre mi diceva “sogna meno e lavora”, io invece volevo cambiare, ma coinvolgendo le persone. Siamo arrivati così a una situazione di stallo ed è stato anche grazie a mia mamma se poi ha accettato di ascoltare la mia proposta.

Che cosa ha proposto a suo padre per avviare questa trasformazione?

L’ho convinto ad allontanarsi dall’azienda per una settimana, cosa già per lui inconcepibile, per fare con me un percorso formativo sulla comunicazione paraverbale e sulla percezione reciproca, tenuto da un amico attore e regista. Ha accettato e alla fine si è reso conto dell’importanza di questa esperienza. A quel punto gli ho proposto di fare lo stesso percorso con tutti i dipendenti, chiudendo ogni sede un giorno alla settimana. L’abbiamo fatto, nonostante sia costato non poco in termini economici, e nell’insieme è stato accolto bene, anche se a qualcuno è sembrato “strano”. Anche l’evoluzione e il cambiamento di vision aziendale non sono stati visti di buon occhio da tutti e un paio di persone se ne sono andate. Questo ha reso però l’azienda molto più attraente per altre persone che oggi fanno parte dell’organico o desiderano poter lavorare con noi.

Quali sono state le tappe verso la nuova realtà aziendale?

Nel 2016 ho inserito in azienda mia sorella Elisa, anche se mio padre non era d’accordo, sempre per la sua convinzione che non si debba lavorare con i parenti. Nel 2017 c’è stato il passaggio delle quote e abbiamo iniziato il percorso di costruzione dell’identità aziendale, con il logo e il marchio Trevigroup; nel 2018 abbiamo creato la consulenza per aziende. Per la parte assicurativa volevo un altro leader mondiale e oggi abbiamo Allianz e Axa, le due compagnie più grandi al mondo, e Chubb, leader per i grandi rischi: siamo gli unici ad avere tre compagnie leader mondiali con mandato internazionale contemporaneamente. Tra il 2019 e il 2020 ho tolto dalla ragione sociale il termine “assicurazioni” e la parte insurance è diventata una divisione aziendale, come la consulenza e il risk management. Abbiamo creato un modello unico, con un know-how non solo assicurativo.

Trevigroup_Francesco Ongaro

Francesco Ongaro, Trevigroup

Come è cambiata la governance?

Oggi io ho il 70% delle quote, mia sorella il 20 e mio padre il 10. Abbiamo definito accordi interni, modificando lo statuto. Io mi occupo della gestione aziendale, mia sorella sarà sempre più coinvolta in tutti i ruoli e mio padre ci supporta come consigliere nelle decisioni e segue alcuni clienti importanti. Abbiamo creato dei ruoli interni legati ai diversi settori e operatività differenziate, ma siamo ancora piccoli per poter inserire dei dirigenti.

Qual è stato il momento più critico che ha vissuto come imprenditore e quale invece la sua più grande soddisfazione finora?

I momenti più difficili sono state le incomprensioni generazionali, quando proponevo un modello di business che non esisteva e che nessuno voleva realizzare, e non riuscivo far capire dove volessi andare. La soddisfazione più bella è l’essere riuscito a creare questa azienda e la mia vittoria più grande è quando mio padre, ai suoi amici imprenditori, racconta il percorso sulla nostra comunicazione paraverbale che gli ho “chiesto” (praticamente preteso) di fare. Ma devo dire che lui è stato bravo ad accettare.

Che azienda è oggi Trevigroup e quali sono i progetti futuri?

Stiamo diventando un’azienda riconoscibile, che era quello che desideravo. Il bilancio di oggi è dato sempre meno da elementi variabili e sempre più da quelli stabili e questo ci permette di fare investimenti, come un software proprietario di analisi dei rischi per i clienti privati. Abbiamo vissuto una trasformazione aziendale radicale, che poi è stata rallentata anche dal lockdown: nella mia testa avremmo potuto correre, ma le trasformazioni sono lunghe da digerire e la parte più complessa è accompagnare le persone che sono il vero valore di aziende come la nostra, abbiamo dipendenti che sono con noi da oltre trent’anni e c’è voluto tempo. Negli ultimi due anni la divisione assicurativa è cresciuta internamente di circa 1 milione di euro nel comparto rami elementari, ora l’obiettivo è dare crescita economica all’azienda. Vorrei consolidare quello che stiamo facendo, implementare la parte di analisi e ampliare i servizi.

Pensa anche a nuovi business?

Ci ho pensato, ma il mio limite è il tempo, già diviso tra l’azienda e gli incarichi in Confindustria: sono vicepresidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Assindustria Veneto Centro e vicepresidente Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Veneto. Sto ragionando su possibili aziende spin off o controllate nell’ambito dei servizi alle imprese, non necessariamente come azienda familiare.

Suo padre è ancora presente in azienda e suo figlio è già abbastanza grande da potervi entrare nei prossimi anni. Potrebbero trovarsi tre generazioni a lavorare insieme?

Mio padre ha 72 anni e ha ancora voglia di dire la sua; invece il mio figlio maggiore, che ha 18 anni e mezzo, per ora sostiene di non voler entrare in azienda. Se i miei figli vorranno lavorare con me, dovranno rispettare delle regole che saranno più rigide per loro che per gli altri, per permettergli di guadagnare autorevolezza nei confronti dei loro collaboratori e di non rimanere “i figli di”; senz’altro avranno delle difficoltà in più, perché non c’è una grande differenza di età tra me e loro e io ho davanti ancora molti anni di lavoro. Si parla sempre di passaggio generazionale, ma quella che va davvero gestita è la convivenza generazionale, un tema che stiamo affrontando anche nel Gruppo Giovani di Confindustria. Il problema non sono le quote societarie, perché per quelle basta un notaio; la vera difficoltà è riuscire a far lavorare insieme genitori e figli.

Related Posts