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Estendere il know how familiare dalla cappelleria alla pelletteria.

Il caso di Oxitalia Srl

di Edoardo Bassetti

Con una storia di oltre quarant’anni nel settore moda, Oxitalia Srl si è ormai ritagliata uno spazio di rilievo nel mondo degli accessori. In costante evoluzione, l’azienda ha saputo estendere l’iniziale know how nella cappelleria al settore tessile e alla pelletteria, che è ormai divenuta il suo core business di riferimento.

Ne parliamo con Stefano Tirabasso, socio e direttore commerciale dell’azienda.

Stefano, raccontaci un po’ dell’azienda, di come è nata e di come si è evoluta in queste tre generazioni…

Negli anni Settanta mio padre ha aperto una fabbrica di cappelli in Provincia di Fermo, nelle Marche, una zona che è appunto rinomata per la grande qualità nella produzione del cappello. Con il passare degli anni anche noi tre figli, a seconda delle età, siamo entrati a lavorare in ditta. Da allora ci siamo trasformati a poco a poco, sempre rimanendo nel mondo degli accessori e dell’abbigliamento. Inizialmente la produzione era relativa solo ai cappelli, poi abbiamo cominciato con altri accessori tessili, come ad esempio scarpe e cuffie. A quel punto, con l’aprirsi del mercato cinese, abbiamo delocalizzato parte della produzione all’estero, iniziando a inserire anche altri prodotti come ad esempio le borse, che sono diventante il nostro core business insieme alla pelletteria. Sono ormai quasi quindici anni che abbiamo licenze importanti, ma ultimamente abbiamo intrapreso anche un nuovo progetto, un brand tutto nostro. È stato un passo fondamentale, di cui siamo orgogliosi. Ci ha dato fiducia e consapevolezza, e ci permette di investire davvero su una creatura da monitorare giorno dopo giorno, in ogni suo aspetto, dalla pubblicità alla produzione, passando ovviamente per la creazione. Oggi anche mia figlia è entrata infatti in azienda, e rappresenta appunto la terza generazione: si è laureata in Design allo IED, a Milano, e attualmente ricopre il ruolo di responsabile dell’ufficio stile, creando le collezioni dei nostri marchi di proprietà. Con le licenze, invece, dobbiamo ovviamente rapportarci anche con il loro rispettivi uffici stile.

Quale è stato l’ambito in cui hai avvertito più distanza con la visione di tuo padre e della sua generazione?

Sicuramente un aspetto è stato il marketing. Lì la distanza è dettata ovviamente dall’età, dai tempi che cambiano sempre più velocemente, e dalle nuove competenze che occorre acquisire. La nostra è una zona in cui, nei decenni scorsi, molte aziende venivano gestite da persone che non avevano una preparazione manageriale idonea, se non quella relativa alla produzione in senso stretto – che pure, ovviamente, è fondamentale, ma a lungo andare da sola non basta. Ci sono stati casi più o meno lungimiranti, però quasi tutti hanno prima lavorato in una fabbrica, per poi aprirne una propria, come appunto mio padre. In quegli anni bastava saper fare bene un mestiere, produrre un prodotto di qualità, e poi erano i clienti che ti cercavano. La produzione non riusciva a soddisfare la richiesta. Oggi il problema è esattamente il contrario: c’è un eccesso di produzione rispetto alla richiesta. Con mia figlia, ad esempio, non c’è una distanza come quella che percepivo con mio padre: i mezzi di comunicazione sono in costante aggiornamento, bisogna stare per forza di cose al passo. Non mi ero mai interessato ai social network, ma da quando abbiamo intrapreso questo progetto con i nostri marchi ho subito realizzato l’importanza di uno strumento simile, che va monitorato quotidianamente. Abbiamo un’agenzia di Milano che segue per noi tutto il discorso PR, digital marketing, social network ecc. però l’agenzia si rapporta con me, e io devo sapere di cosa stiamo parlando. Nel corso degli anni ho dovuto acquisire delle nozioni che prima invece non mi interessavano minimamente. Instagram, soprattutto, è uno strumento fondamentale, per chi ha un progetto nel mondo della moda come il nostro. Dieci anni fa non sapevo neppure cosa fosse; oggi, invece, parlo quasi tutti i giorni con l’agenzia di Milano per impostare campagne social, partnership con influencer ecc.

E a Milano non a caso avete ora la vostra sede legale. Parlaci di questa evoluzione che vi ha portato a raggiungere una vetrina così importante.

In azienda abbiamo sempre avuto l’idea di essere presenti in una città internazionale, una vetrina che avrebbe potuto valorizzare al meglio la qualità della nostra produzione. Abbiamo avuto come sede legale prima Firenze e poi Milano, perché pensiamo che per chi fa moda il posto giusto sia appunto quello. Da un paio di anni, poi, abbiamo acquisito anche uno showroom in Via del Senato, e quindi la nostra presenza non è più solo una cosa di facciata, un aspetto meramente burocratico: oggi abbiamo a tutti gli effetti una presenza tangibile nel cuore di Milano. A breve, inoltre, abbiamo intenzione di aprire anche un negozio a Milano, che possa rappresentarci in maniera ancora più forte. Milano è insomma la sede ideale che abbiamo scelto per i nostri progetti. La parte operativa, come quella produttiva, possono in fondo essere localizzate ovunque, ma Milano resta per noi un punto fisso per farci conoscere.

Passiamo a un argomento più dolente. Qual è stato l’impatto del Covid sull’azienda? Che mosse avete deciso di adottare a livello finanziario?

Durante il Covid abbiamo vissuto molte difficoltà, con enormi perdite a livello finanziario: clienti che rifiutavano la merce, che chiedevano sconti su sconti approfittando dell’emergenza ecc. Però devo dire che la risposta da parte degli istituti di credito è stata buona, molto buona. Non so se sia stato così per tutti, perché ho sentito anche di chi si è visto sbattere più volte la porta in faccia, ma noi di certo non possiamo lamentarci. Su tutti, devo dire che mi sono trovato molto bene con istituti bancari come ad esempio Intesa San Paolo; poi ci sono state anche altre offerte di finanziamenti a medio, lungo termine, da soggetti che esulano dai canali bancari in senso stretto, come appunto società di intermediazione bancaria. Ognuno è libero di scegliere se vuole introdurre tanta finanza in cassa, oppure no. Noi abbiamo scelto una sorta di via di mezzo, a volte abbiamo accettato e altre no. In via generale abbiamo preferito fare una buona scorta di cassa perché il periodo era molto brutto, e non si sapeva quanto sarebbe durato: c’era molta incertezza, e quindi per essere tranquilli abbiamo pensato che la cosa migliore fosse avere una buona cassa alle spalle.

E per il futuro? Come si muoverà Oxitalia nei prossimi anni?

Devo ammettere che molti ci stanno chiedendo insistentemente di introdurre all’interno del nostro progetto altri prodotti, soprattutto per quanto riguarda le calzature. Penso sia un passaggio ancora troppo prematuro, perché il nostro marchio è ancora molto giovane, abbiamo solo 8/9 anni di storia. È vero che lavoriamo già con circa 500 negozi fidelizzati in Italia, però allo stesso tempo non abbiamo ancora un brand che si è affermato in maniera definitiva. Preferiamo muoverci in maniera cauta, facendo le cose con calma, anche perché la crescita finora è stata senza dubbio buona, in pochi anni, partendo dai cappelli di mio padre fino ai marchi di oggi, passando per le licenze. Prima dobbiamo rafforzarci ulteriormente sul nostro prodotto di riferimento, che è la pelletteria, e poi in futuro vedremo. Per affermare con serietà e autorevolezza un brand ci vogliono molti anni, decenni, e noi vogliamo fare le cose per bene.

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