Nel 1987 era una piccola impresa farmaceutica di San Marino, oggi è una realtà internazionale che opera dal Giappone al Brasile e sogna l’America. Il Gruppo Valpharma riunisce tre aziende: quella originaria, Valpharma, che produce da sempre farmaci a rilascio modificato; Valpharma International, nata nel 2002, che opera nello stabilimento di Pennabilli, in provincia di Rimini; Erba Vita, anch’essa sammarinese e acquisita nel 2017, specializzata in prodotti nutraceutici. Nel 2022 il Gruppo ha raggiunto un fatturato di 65 milioni di euro. «Nel 2023 uniremo i due stabilimenti di Valpharma ed Erba Vita in un’unica sede a San Marino e avremo due poli produttivi: per noi è un importante segno di sviluppo», annuncia Alessia Valducci, presidente del Gruppo. Figlia del fondatore di Valpharma, Roberto, è entrata in azienda da neolaureata e in quasi trent’anni ha vissuto tutta l’evoluzione da piccola impresa a gruppo internazionale. «Quando mio padre ha fondato la prima azienda, nel 1977, erano in 3, ora siamo più di 400», racconta. «Sono nata a Milano, ma quando avevo 11 anni la mia famiglia è tornata in Romagna perché mio padre, che era chimico, aveva deciso di creare la sua attività imprenditoriale nella sua terra di origine. Da figlia unica sono cresciuta insieme con l’azienda, come se fosse mia sorella. Nel 1987 è nata Valpharma a San Marino, eravamo gli unici farmaceutici nel raggio di molti chilometri. Per me è sempre stato naturale pensare di lavorare nel business di famiglia: ho cominciato nel 1994, dopo la laurea in farmacia, ma in realtà non ero preparata, conoscevo l’azienda solo per i lavori che facevo d’estate. Ho girato tutti i reparti e poi mi sono occupata del personale, diventando negli anni il braccio destro di mio padre, anche se con una filosofia diversa dalla sua».
Come è stata la convivenza generazionale tra lei e suo padre?
Non facile, perché mio padre era un imprenditore di un’altra epoca: non c’era delega, non c’erano manager, prendeva sempre lui ogni decisione e risolveva ogni problema, da questo punto di vista era anche facile lavorare con lui. Noi abbiamo avuto una grande fortuna, perché mio padre aveva grandi capacità, ottimi collaboratori e una visione internazionale fin dall’inizio: il nostro primo cliente era in Sudafrica, era bello avere già allora un mondo con cui confrontarsi. Ora le cose sono cambiate e le aziende non possono più crescere in questo modo.
In che cosa è cambiata la vostra azienda e quale è stato il suo ruolo in questa evoluzione?
Per me la scuola è stata l’azienda e il confronto quotidiano con gli altri collaboratori. Sono cresciuta con l’azienda, mi chiedevo se sarei riuscita a governare una realtà di queste dimensioni, ma ho trovato gli stimoli e la capacità per essere una manager. Ho fatto corsi, mi sono confrontata con altri imprenditori ed è stata fondamentale l’attività in Confindustria: mio padre mi ha incoraggiato a frequentare i Giovani Imprenditori a Roma ed è stata un’importante scuola, ha significato vedere me stessa in altre vesti e mi ha dato il coraggio di essere leader, tanto che poi sono diventata presidente dei Giovani Imprenditori di Rimini. Ho cercato di diventare manager seguendo vari input, tra i quali l’esempio di mio padre, con la sua umanità ed energia, ma spingendo sull’essere donna, che dà un vantaggio: più sensibilità, più attenzione, voglia di fare sempre qualcosa di nuovo. Sono passati trent’anni da quando ho cominciato io, l’azienda è cambiata e i direttori sono sempre più manager, c’è anche un cambio generazionale: abbiamo tanti giovani e molte più donne, tra le quali una direttrice di produzione e una direttrice della qualità. Ora finalmente sono nella posizione giusta: abbiamo di fronte tantissime sfide, vogliamo fare sempre di più e crescere insieme.
A proposito di ruoli femminili, lei si definisce “chairwoman”: una scelta per affermare la sua identità di imprenditrice?
Mi sono chiesta: chi sono io nell’azienda? Per anni sono stata “la figlia di”, poi è stato mio padre a diventare “il padre di”, perché sono diventata più conosciuta di lui. Ora che sono la presidente mi sembra giusto definirmi chairwoman, al femminile, invece di chairman. Non ho mai vissuto difficoltà come donna in azienda, perché sono cresciuta come manager sotto mio padre, anche se forse gli altri non si aspettavano che fossi in grado di assumere questo ruolo. Fuori dall’azienda, invece, sì: ho fatto tante riunioni nelle quali ero l’unica donna e nessuno degli altri manager o imprenditori mi guardava, né chiedeva la mia opinione. In Italia siamo ancora molto indietro sulle donne manager. In Confindustria Romagna sono l’unica vicepresidente donna e ho chiesto la delega all’imprenditoria femminile: siamo 7-8 imprenditrici di tre province, è bello che ci siano esempi di stimolo e confronto per le giovani manager.
Nel suo percorso professionale, qual è stata la principale criticità che ha dovuto risolvere?
Nel 2016, quando l’azienda era già diventata grande, Aifa (l’Agenzia Italiana del Farmaco, ndr) ci ha chiuso temporaneamente un reparto: ho dovuto telefonare ai clienti perché non potevo consegnare un prodotto e ho perso milioni di fatturato. Mio padre era ancora in azienda, ma ha voluto che me ne occupassi io. La stesso è accaduto il giorno in cui era fissata l’ispezione di rientro, dopo mesi di chiusura: mio padre, invece di raggiungermi in ufficio, mi ha chiamato per annunciarmi che stava per andare in vacanza e mi ha detto “tanto ci sei tu”. Ho dovuto fare da sola e a volte non è facile, ma si può, con umiltà e serenità e con la consapevolezza delle proprie forze. Altri momenti difficili sono stati la pandemia e poi la recente crisi energetica, che abbiamo sentito molto, perché la nostra è un’azienda energivora.
I cambiamenti degli ultimi anni hanno messo in difficoltà molte aziende. Come li state affrontando?
La nostra ultima convention aziendale è stata proprio sul tema della trasformazione: vogliamo cambiarci le teste. Tutti siamo cambiati nel modo in cui ci poniamo con colleghi, con i collaboratori, con la tecnologia, con il mondo ed è un cambiamento epocale. L’azienda resta la stessa, continuiamo a fare gli stessi prodotti, ma la domanda che ci poniamo è: come lo facciamo? Con una consapevolezza maggiore, perché sono cambiate tantissimo le regole della qualità, l’analisi, la produzione, cambia la tecnologia e cambiano anche persone. Dobbiamo essere pronti a queste trasformazioni e per questo abbiamo aumentato tantissimo la formazione: se sei preparato, puoi affrontare tutto. La paura di fronte alle difficoltà è normale, ma ci vuole il coraggio di andare avanti e fare sempre qualcosa di nuovo. Nei nostri valori aziendali al primo posto c’è proprio il coraggio, inteso come l’essere consapevoli delle proprie azioni; gli altri valori sono la responsabilità, la trasparenza, la condivisione, il lavoro di squadra, il rispetto.
Dove vede la sua azienda tra dieci anni?
A New York, con un ufficio a Manhattan. Siamo da sempre internazionali, i nostri primi mercati per fatturato sono Giappone, Brasile e Francia e con Erba Vita stiamo andando in Cina, ma il nostro sogno è entrare nel mercato americano e vorremmo farlo prima con i prodotti nutraceutici e poi con il farmaceutico. Io nasco produttiva, mi piace fare cose nuove, cercare nuovi prodotti e nuovi mercati. Tra dieci anni saremo sempre più competenti e forti nella produzione.
Per allora potrebbe essere alla guida la terza generazione?
I miei figli sono orientati a entrare in azienda, ma sono ancora giovani, il maggiore ha 20 anni e studia alla Bocconi, il minore 18 e frequenta l’ultimo anno di liceo. Se vorranno entrare in azienda, faranno senz’altro un percorso diverso dal mio, partendo da esperienze in altre imprese, anche internazionali. Mi auguro quindi che arriveranno da noi ognuno con le proprie competenze e il mio compito sarà quello di farli crescere in autonomia, indipendenti e coraggiosi, e di fare da cuscinetto nel passaggio. Se poi cambiassero idea, saranno liberi di fare le loro scelte.
Pensa che arriverà il momento in cui deciderà di lasciare l’azienda?
Mi piacerebbe, vorrebbe dire che è in buone mani.
Potrebbe scegliere di dedicarsi a nuovi progetti imprenditoriali?
L’ho già fatto, in realtà, seguendo anche in questo l’esempio di mio padre e unendo sempre l’utile al dilettevole. Sono stata direttrice di due alberghi, un altro business di famiglia: quello di San Marino l’abbiamo chiuso quando abbiamo ingrandito la sede di Valpharma, mentre è rimasto Il Duca, a Pennabilli. Ora è stato trasformato in una realtà sociale: una cooperativa ha creato all’interno dell’hotel una comunità per accogliere ragazzi inviati dal Tribunale dei Minori di Bologna e formarli nel settore dell’hôtellerie, gestendo l’albergo. È un progetto che corrisponde alla mia indole: noi che siamo fortunati, perché abbiamo potuto fare ciò che volevamo, dobbiamo aiutare chi non lo è, il vero potere per me è essere al servizio degli altri. Un’altra attività che ho ereditato e diretto è la Domus Medica, l’unica clinica privata di San Marino, con un grande centro per la terapia iperbarica, un’attività che continua a crescere. Ora sono socia al 50% di un’agenzia di viaggi, che ho aperto con un’amica esperta del settore. Ma mi piace molto anche il mondo associativo: sono socia del Lions Club e di Soroptimist, un’organizzazione internazionale di professioniste che opera a sostegno delle donne. A lavorare in azienda mi diverto, ma se dovessi smettere non penso che mi annoierei.