Dalla dimensione artigianale degli esordi a griffe globale: è questo il percorso di Chantecler SpA, azienda familiare che abbina un nome francese a manufatti 100% italiani, nata nel 1947 da un’intuizione di Pietro Capuano e Salvatore Aprea, due giovani capresi con la passione per l’arte orafa. Chantecler progetta, produce e commercializza gioielli d’eccellenza. Il family business è guidato oggi dai figli di Salvatore Aprea: Gabriele, Presidente e CEO, con le sorelle Maria Elena, Vice Presidente e Resp. della direzione creativa e sviluppo prodotto, e Costanza, Resp. della comunicazione. Convive con loro nella gestione dell’impresa anche la terza generazione, rappresentata da Leonardo- figlio di Maria Elena- da un anno attivo nell’ area marketing. Chantecler SpA ha chiuso il 2023 con un fatturato pari a 20 Mln/€ (un +5% rispetto all’anno precedente) e con l’obiettivo di competere a livello internazionale dotando «la governance di strumenti manageriali simili a quelli usati dai grandi gruppi. E per gareggiare ad armi pari ecco che l’acquisizione delle più evolute skills manageriali significa imparare le regole del gioco per continuare a giocare al meglio» spiega l’imprenditrice, Maria Elena Aprea, nell’intervista.
Chantecler è un brand riconosciuto a livello internazionale e creato da un’impresa familiare italiana. Quali sono stati i primi passi di questa parabola?
La storia di Chantecler inizia a Capri, dove opera Pietro Capuano, erede di una stirpe di gioiellieri napoletani, soprannominato Chantecler, nome derivante dall’affinità con il gallo brillante e irriverente e che pretende di essere lui, con il suo canto, ad ordinare al sole di alzarsi al mattino, protagonista della omonima novella di Edmond Rostand, famoso per il Cyrano de Bergerac. Pietro decise di realizzare una campana in bronzo che regalò il 20 ottobre 1944 al Presidente americano F. D. Roosevelt per festeggiare la fine della guerra. Pietro ed il suo socio Salvatore Aprea, mio padre, laureato in giurisprudenza ma appassionato di manifattura orafa, ebbero l’intuizione di rendere la campanella, diventata simbolo di pace e viatico di buoni pensieri secondo la leggenda caprese, un ciondolo riconoscibile da realizzare su misura e nel 1950 aprirono a Capri una gioielleria che realizzava pezzi unici personalizzabili con nomi, date e incisioni che nella versione più semplice era quella in argento con il celebre gallo. Il successo fu immediato: venne indossata da Grace Kelly, Jacqueline Kennedy, Liz Taylor, Maria Callas, Audrey Hepburn e la nostra Sofia Loren.
Una risonanza aiutata dalla sapienza artigiana e dalle doti relazionali: si trattava non solo di realizzare gioielli ma di conoscere le clienti, e creare per loro qualcosa che fosse sorprendente. Tutte passavano dalla boutique spendendo ore, insieme a Chantecler e a mio padre, provando monili ma anche raccontando di loro. Nel mondo del lusso il rapporto personale si configura come essenziale, perché è un fattore critico di successo. Da questo punto di vista la strategia di una impresa famigliare non è diversa da quella dei grandi gruppi del lusso rispetto ai quali ci sentiamo di poter competere posizionandosi come nicchia di altissimo valore aggiunto.
È con una sorta di trasmissione dell’esempio di “saper fare” che suo padre ha preparato la successione?
Mio padre credeva nella formazione delle future generazioni attraverso la pratica concreta e l’esempio, più che con le parole, e sono molte le lezioni che ho imparato. È una questione di sensibilità e di atteggiamento che a scuola non si può insegnare. Uno di questi insegnamenti è la centralità del cliente in tutto il processo, dalla creazione alla vendita, dalla comunicazione al servizio. Poi, ovviamente, lavorare sulle competenze tecniche. Mio padre ha fatto in modo che andassimo a bottega, allenandoci fin da quando eravamo piccoli. Ci vuole tempo per sviluppare i talenti necessari per assumere un ruolo e mi sento fortunata perché ho fatto esperienza circondata da un’idea di bellezza. Il prezzo di un manufatto sta anche nella bellezza che sappiamo valorizzare.
Come le generazioni successive hanno incorporato la lezione della tradizione nella strategia di evoluzione del business familiare?
L’eredità di Chantecler e di mio padre era sfidante. Ci sono doti imprenditoriali che sono intrinseche alle persone e difficilmente replicabili. Spesso appartengono ai fondatori e quando essi se ne vanno si portano via le macerie di una azienda che non cresce senza di loro. Questo era il rischio che si palesava, quando i miei fratelli ed io abbiamo preso le redini decidendo di assumerci un rischio ulteriore: portare in azienda una visone più moderna e manageriale, una scelta inevitabile quando ti trovi a confrontarti con le dimensioni di un business in crescita. Abbiamo investito sulle competenze del capitale umano per far maturare cultura organizzativa, ma non abbiamo mai stravolto la natura originaria dell’impresa che è rimasta fedele ai valori originari come quelli della centralità del cliente come persona e del su misura. Questo è il segreto del nostro successo: in un mondo che cambia noi non siamo solo bravissimi artigiani esecutori, ma imprenditori che sanno estrarre sempre nuovo valore dalle radici.
Il rischio che corrono i business famigliari è di rimanere troppo agganciati alla tradizione…
Partiamo da una premessa. Un gioiello è sempre stato, per noi, il veicolo narrativo per esprimere una sensazione di Capri e un’emozione universale: la bellezza. C’era il rischio di rimanere tendenzialmente legati all’equazione: Chantecler uguale Capri. Noi abbiamo fatto di una equazione, che poteva indebolirci nel tempo e renderci vulnerabili per questo legame così stretto fra un luogo e business familiare, un punto di forza cogliendo tutte le opportunità che potevano venire dalla continuità con la storia e con il territorio. La mia generazione si è fatta promotrice del progetto estero in ottica di sviluppo dell’originario business familiare. Nel 2003 abbiamo lasciato Capri (dove rimane il nostro atelier) prima per Napoli e poi per Milano dove abbiamo una boutique seguita dall’apertura a Cortina. Benché la maggior parte del nostro fatturato sia realizzato in Italia guardiamo con sempre maggiore attenzione al mercato estero, dove la domanda è in crescita. Il polo produttivo e logistico è nel cuore del distretto orafo di Valenza Po e questa decisione è dipesa non da un disinvestimento nei confronti di Capri, che resta una meta internazionale ben frequentata e quindi un bacino pressoché inesauribile, ma dalla consapevolezza che man mano che il business maturava occorreva perseguire l’obiettivo di espansione per poter diventare sempre più efficienti. Laddove ci sono le migliori competenze, lì va l’attenzione. Quando l’ambiente cambia intorno a noi occorre saper guidare il cambiamento a vantaggio della fedeltà alla tradizione combinata all’efficienza per continuare a fare qualità.
Come avete gestito il rapporto fra nuove competenze per lo sviluppo del business e unità familiare?
Oggi siamo alla terza generazione. Da poco meno di un anno, anche Leonardo, mio figlio, è entrato in azienda con umiltà, iniziando nel marketing e nella comunicazione. La nostra unione familiare si basa su una consapevolezza aziendale: siamo, e vogliamo rimanere, orgogliosamente, un family business che si posiziona come nicchia indipendente in un mondo, quello del lusso, dominato dai grandi gruppi. Questo è il nostro obiettivo. Per raggiungerlo pensiamo che sia necessario dotare la governance di strumenti manageriali simili a quelli usati dai grandi gruppi per essere in grado di competere nello scacchiere internazionale, che a sua volta ha interesse a mantenere la nicchia che è vista come la custode dell’eccellenza. E per gareggiare ad armi pari ecco che l’acquisizione delle più evolute skills manageriali significa imparare le regole del gioco per continuare a giocare al meglio. Al contempo siamo impegnati a garantire continuamente questa eccellenza e per farlo perseguiamo una cultura legata alla generazione del valore sulla base della tradizione. Quella dell’alta gioielleria, dove il nostro business famigliare si posiziona, è una parabola irripetibile, che affonda le proprie radici in secoli di esperienza, progressivi raggiungimenti e lavoro. A questi valori la mia generazione ha unito uno stile di direzione manageriale utile a prendere decisioni importanti in scenari in divenire, credo che la crescita risieda nel giusto equilibrio fra queste componenti.
Quali sono stati i passaggi salienti del ricambio generazionale nel vostro business familiare?
Il passaggio generazionale per noi è stato un fulmine a ciel sereno, in quanto si è reso necessario quando è mancato nostro padre. Erano gli anni di Tangentopoli e la congiunzione economica era molto negativa. Nonostante questo, i miei fratelli ed io, forti del bagaglio di valori di nostro padre, ci siamo rimboccati le maniche, tenendo vivo il sogno familiare ed estendendone l’orizzonte, anche oltre quanto potessimo immaginare all’inizio. Mentre gli imprevisti saranno sempre all’ordine del giorno nella vita di un imprenditore, il passaggio generazionale, quello vero, risiede dunque nei valori. Anche se Chantecler è passato nel tempo da una boutique a un brand, rimane animato dagli stessi principi di rispetto per l’etica del lavoro, il rispetto delle persone e della parola data e l’empatia uniti alla volontà di tramutare i sogni in realtà nonostante le avversità. Bisogna saper avere rapporti onesti con le persone e delle situazioni fare di un fallimento un successo. Sono principi semplici ma preziosi per governare complessità. Fare impresa, come ricorda la parola stessa, è complesso.
Che caratteristiche deve avere un vero leader per governare la complessità di un business familiare così internazionale?
Basandomi sulle mie esperienze, posso dire che un vero leader all’interno di Chantecler, così come in qualsiasi altro contesto, deve incarnare diversi tratti distintivi, il primo dei quali è la connessione con l’heritage: un vero leader deve comprendere e rispettare l’eredità e la storia del marchio, come ho imparato dalla nostra fondazione a Capri. Questa connessione con le radici del marchio può guidare le decisioni e ispirare il team. Un altro importante tratto distintivo risiede nel rispetto della tradizione: un leader di successo deve essere in grado di bilanciare l’innovazione con il solco lasciato dalla tradizione, come abbiamo fatto nel passaggio generazionale all’interno di Chantecler. Questo equilibrio è essenziale per garantire la continua rilevanza e vitalità del marchio nel tempo. Occorrono poi buona capacità di comunicazione e ispirazione: ho imparato sul campo che è fondamentale comunicare in modo chiaro la visione e i valori del marchio, ispirando il team a condividere e perseguire gli obiettivi comuni. Poi chiamo in causa l’adattabilità e la resilienza: essere un leader significa essere in grado di adattarsi ai cambiamenti del mercato e alle sfide impreviste. La capacità di affrontare le sfide con resilienza e determinazione è essenziale per guidare il marchio attraverso periodi di transizione e incertezza.
E ultimo ma non ultimo viene il discorso sulla integrità e fiducia: un vero leader deve agire con integrità e guadagnare la fiducia del team e degli altri stakeholder del marchio. L’onestà, l’etica e la coerenza sono fondamentali per mantenere la fiducia e la lealtà nel lungo termine.
La strada del marketing è poco intrapresa nelle aziende familiari perché molto si basa sulla personalità del fondatore ma la forza del vostro brand dimostra il contrario, festeggiando tra l’altro quest’anno l’anniversario della campanella…
La campanella è dove tutto è iniziato e l’esempio più chiaro di questo nostro percorso fra generazioni è la Campanella, che l’anno prossimo compirà 80 anni. La nostra creazione più iconica è nata come dono ben augurante ed emblema di pace. Nel tempo è andata incontro a numerose metamorfosi ed evoluzioni formali, arricchendosi di significati ma rimanendo fedele allo spirito del primo esemplare del 1944. La Campana è diventata l’elemento più riconoscibile e simbolico dell’identità di Chantecler. Il 2024, 80 anni dopo, Chantecler celebra l’Anno della Campana. Essa è significativa per le nostre radici, che ci tengo a dire, sono una piattaforma per una continua evoluzione nel futuro.