Jcoplastic, un gruppo internazionale con salde radici familiari. È quello che traspare dalla storia che ci ha raccontato Antonio Foresti, CEO di Jcoplastic, azienda del salernitano attiva nello stampaggio in materie plastiche di beni durevoli e strumentali per il settore agro-alimentare, logistico ed ecologico. Con stabilimenti in Italia, Spagna, Francia, Austria, Grecia e Turchia e collaborazioni commerciali in altri paesi, Jcoplastic è la capo-fila di un gruppo che fattura 115 milioni di euro, di cui 60 milioni in Italia ed impiega, in Italia circa 300 addetti.
Quando nasce Jcoplastic?
L’azienda nasce 1962 da una famiglia di Battipaglia», ci spiega Foresti, «Nel 1999 ebbero l’esigenza di avere un partner industriale e la mia famiglia, con mio padre, entrò in società. Nel 2002 l’abbiamo rilevata dopo che il socio fondatore ritenne di aver concluso il suo ciclo.
Quest’anno festeggiamo i 20 anni. All’epoca, provenendo dal settore dell’imballaggio metallico per l’industria conserviera, eravamo interessati a diversificare il nostro business ed Jcoplastic ci consentiva di restare, in qualche modo, nel nostro settore offrendo però un’altra tipologia di contenitori.
A che punto subentra lei al posto di suo padre?
Molto presto, in quanto gli altri fratelli erano impegnati in altre aziende di famiglia ed io mi dedicai ad Jcoplastic dopo l’uscita del fondatore ma sempre con mio padre accanto. Era il 2005.
Come è cambiata l’azienda negli anni?
Esistono aziende padronali, con una grossa concentrazione delle responsabilità ed accentramento decisionale nelle persone dei proprietari. Non è questo il nostro caso.
Ho avuto la fortuna di crescere in un’azienda che mi ha dato una cultura manageriale ma quando sono entrato in Jcoplastic abbiamo trovato ancora quel tipo di cultura molto legata alla figura del proprietario.
Non è stato facile quindi diffondere la nostra cultura manageriale salvando il salvabile della forza lavoro che già c’era. Pensi che siamo stati vittima di un caso di spionaggio industriale da parte di dipendenti “infedeli”.
Successivamente però abbiamo promosso una grande fidelizzazione delle persone verso l’azienda, creando una gerarchia con manager con responsabilità proprie.
La figura del proprietario è quella che dà la forza propulsiva ma la funzione del management, così come di ogni impiegato o operaio, è importante per traghettare l’azienda verso il futuro.
Antonio Foresti, CEO di Jcoplastic Spa
Ora sta entrando in azienda la terza generazione dunque. Come sta avvenendo l’ingresso dei suoi figli?
L’impresa è un equilibrio di risorse umane e finanziarie che può prosperare se c’è questo armonia. Questa è la base per il ricambio generazionale. Non ho forzato l’ingresso in azienda dei miei figli tant’è che la più piccola ha intenzione di prendere una strada completamente diversa.
Per gli altri due figli, Alessandra, che ha 28 anni e Pietro, che ne ha 26, c’è stato un avvicinamento graduale, passando in azienda un paio di mesi estivi, nei due anni precedenti al completamento dei loro studi.
Nei loro confronti c’è una grande aspettativa da parte dei dipendenti rispetto alla continuità dell’azienda.
Grande aspettativa ma quindi anche grande responsabilità su di loro.
Credo che le nuove generazioni debbano portare il proprio contributo e non essere privilegiate dal fato di essere “figli di”. Loro hanno fatto un po’ di “palestra” prima di entrare e una volta qui, stanno mettendo in pratica i loro studi calandoli nella cultura d’impresa. Anche da parte del genitore , d’altronde, deve esserci la volontà di farsi aiutare. Io cerco di arrivare in ufficio un po’ più tardi di loro e vado via prima di loro per lasciargli il loro spazio. Devono imparare a prendersi le loro responsabilità. I genitori che non lasciano fare per paura che i figli facciano danni sono specchio di una cultura, a mio avviso, poco illuminata che non aiuta il cambio generazionale.
Se non dai modo di poter sbagliare, non trasferirai mai la cultura d’impresa. Sbagliare deve essere previsto purchè sia in buona fede. Lo si accetta anche dai dipendenti, figuriamoci da un figlio. In un figlio puó esistere l’incompetenza ma non la mala fede.
Dove sta andando l’azienda? Cosa vede all’orizzonte?
Vedo due ragazzi che si stanno formando per continuare la nostra storia familiare ed aziendale.
Alessandra è già in un fase più operativa essendo con noi da 4 anni. Dopo la laurea negli Stati Uniti si è dedicata allo sviluppo di nuove venture e nuovi mercati. Essendo i nostri prodotti voluminosi, cerchiamo di costruire nuovi stabilimenti oltre il 1000 Km da quelli che già abbiamo. Ebbene, dopo un anno e mezzo è già riuscita a fare un’operazione, con soci austriaci, scegliendo personalmente e facendo installare degli impianti di produzione in Camerun. Eravamo in procinto di fare un’altra operazione di questo tipo in Russia ma poi gli eventi che tutti conosciamo lo hanno impedito. Quindi ha centrato l’obiettivo. E’ sulla buona strada.
Pietro, che è laureato in ingegneria gestionale, è stato il benvenuto soprattutto dai dipendenti, che hanno bisogno di avere l’occasione di dialogare con il titolare per trasferirgli le proprie esigenze ed io tendevo ad essere poco presente a causa dei tanti impegni.
Il suo ingresso sta consentendo di far progredire alcuni argomenti che erano in sospeso, da migliorare ed implementare.
L’accettazione da parte dei dipendenti è avvenuta quindi in maniera brillante. Questo è fondamentale per avere un clima aziendale sereno che non può che giovare a tutti.